giovedì 22 febbraio 2007

NAMASTE'


Anche se gli avvenimenti di queste ore mi agitano la mente (solo quella: lo spirito è tranquillo) manterrò fede a ciò che mi sono riproposto, ovvero lasciare la politica in senso stretto fuori da queste pagine. Continuerò ad “occuparmi dei singoli alberi” nella speranza che questo, un giorno, muti l’aspetto della foresta.

Anni or sono un amico mi passò un libricino intitolato “Il Santo”, da non confondere con l’omonimo romanzo di Fogazzaro. Francamente non ricordo l’autore, né posso recuperarlo perché è uno dei tanti libri che, usciti da casa mia sotto forma di prestito, si sono poi mutati in regalo involontario, non tornando mai indietro.
Narrava di un vecchio che, un bel giorno, inizia a restaurare una casa fatiscente, collocata sulla cima di un colle. Dopo qualche tempo le persone della sottostante città che hanno avuto modo di parlare con lui cominciano a spargere la voce che è una persona saggia, che le sue parole placano l’anima, che, forse, ha guarito degli ammalati con il tocco della mano. Cominciano a chiamarlo “il Santo” ed alcuni decidono di aiutarlo nella sua opera di ricostruzione. In breve la vecchia casa si trasforma in una specie di convento, popolato da una piccola comunità che si stringe attorno al Santo per godere della sua parola e che sceglie anche d’indossare un umile saio come simbolo della loro scelta.
Dalla città, inoltre, sempre più persone si recano a fargli visita, incuriosite dalla sua figura.
Il libro narra ciò che accade nella mente e nel cuore di molte persone in coda davanti al “monastero”, delle trasformazioni che avvengono in loro… quasi a dire che non è tanto la meta a contare, quanto l’atto del mettersi in un viaggio di ricerca.
Tuttavia, alla fine del libro, veniamo a sapere anche cosa accade a chi, finalmente, dopo giorni di attesa, riesce a bussare alla porta della vecchia casa sulla collina.
Un anziano, che indossa un saio come tutti gli altri del “monastero”, apre loro la porta.
“Voglio vedere il santo” chiede il nuovo arrivato.
“Seguimi” risponde il vecchio e lo guida per un lungo corridoio. A destra ed a sinistra si aprono delle porte dietro alle quali altre persone ricoperte dal saio lavorano, meditano, mangiano… Giungono infine alla porta in fondo al corridoio, prospiciente a quella d’entrata. Il vecchio la apre ed invita il visitatore a varcarla…e questi si ritrova all’esterno, fuori dalla casa.
“Ma io volevo vedere il Santo!” protesta.
“Lo hai visto” risponde il vecchio sorridendo.
Tanto per non lasciare dubbi sul messaggio, per qualcuno aggiunge: “Tratta ogni persona che incontri come se fosse il Santo!”

Quando lessi questo libro restai con un senso di deja vù, come se mi ripetesse qualcosa che già sapevo. Poi ricordai: il modo di salutarsi dell’India, naturalmente…
“Namasté” letteralmente significa “Saluto il Dio che c’è in te”.

Quanto cambierebbe il mondo se riuscissimo a scorgere il Dio che vive nell’Altro?
Lo so. Lo so che è dannatamente difficile vedere “il Santo” nell’ultrà che scardina un sedile dello stadio per gettarlo in campo; lo so che di fronte ai “furbi”, ai disonesti, agli egoisti militanti, il primo sentimento è quello di ripulsa.
Eppure un modo c’è…
Ve ne parlo un’altra volta, va bene?
E, per farlo, dovrò narrare una cosa che, ancora oggi, a distanza di tanti anni, mi fa un male cane…

5 commenti:

elena ha detto...

Bravo Equo. Se vuoi parlare di politica, vieni da me che la porta è sempre aperta. Non sporcare il tuo blog con questo argomento - appassionante sì, importante anche, ma che, soprattutto di questi tempi, non nutre il nostro spirito.
Quanto al Namasté... sto sobbollendo. Mi è piaciuta la "favola", ma mi vine voglia di gettare la spugna subito.
Mi ricorda tanto il "porgi l'altra guancia"... e non è nel mio stile. Intendo dire che, a parte la difficoltà di vedere il Dio nell'altro (quasi mai lo vedo in me), le tue conclusioni mi spingono a ribatterti "molto bello cercare il Dio in quelli che meno lo palesano - almeno in apparenza - ma così facendo, tutti quelli che più gli sono vicini (perché più fortunati o "solo" perché bambini, ad esempio) non rischiano di essere dati per scontati? e invece vanno coltivati anch'essi, perché non secchino il sacro in loro..." insoma, va bene porgere una mano a Franti, ma non trascuriamo i Garrone!
Ho fatto confusione, vero? E ho dimostrato, se ancora non te ne fossi accorto, che razza di allieva riottosa io sia...
Che la forza ci accompagni.

Equo ha detto...

Uh! Che terreno scivoloso! :-)
In parte già contavo di rispondere con il prosso post...con un'argomentazione che più sgradevole non si può. Ne parliamo poi, ok? Ah: se ti capita cerca un vecchio articolo di Umberto Eco (lo pubblicò sul vecchio "L'Espresso" quando usciva in formato lenzuolo). Si chiama "Elogio a Franti" e ti piacerà moltissimo. Detro ciò, naturalmente concordo con te sul fatto che dedicarsi alle mele marce non debba significare mai dimenticarci di quelle buone. Il problema, ovviamente, è che siamo tutti capaci di vedere la bellezza in una violetta spuntata nel bosco e, quindi, non ci perdo troppo tempo... Mi piacerebbe che si trovasse la poesia anche nello sterco di una volpe. In quanto ad essere un'allieva riottosa... Tu non hai idea di che razza di allievo indisponente sia stato io! :-))

nemo ha detto...

Mi sa che questo articolo che citi di Eco l'ho letto...
Ad ogni modo difficile trovare il divino per me che son ateo :-p

Equo ha detto...

Simpatica battuta, Nemo, come sempre. Pensa che io mi definisco "un ateo molto mistico"... :-) D'altra parte, ad esempio, il Buddhismo non prevede l'esistenza di nessun "essere supremo" o cose del genere, tanto che un modo di dire Zen è : "Se incontri il Buddha per strada, uccidilo" a significare, ovviamente, che se trovi una verità che non scaturisce da te...non è la tua verità.

Blue ha detto...

Namastè Maestro...