sabato 8 marzo 2008

Ciao, papà


La famiglia è stata concorde nel non volere che in questa circostanza si leggessero versi o salmi, né nulla del genere.
Proverò a dire due parole io… ma senza indorare la pillola, senza quella retorica che troppo spesso si utilizza in queste tristi situazioni, senza voler far apparire il proprio caro come un santo…
Con sincerità… perché la sincerità, assieme all’onestà vera, quella delle semplici, brave persone, è una delle cose che mi ha insegnato mio padre.
E non voglio tradirla.

Negli ultimi anni, lo scorrere del tempo e i morbi che il tempo, talvolta, porta con sé, hanno preso mio padre a pugni in faccia, sconvolgendogli la vita, confondendogli talvolta la mente, ingarbugliandogli il pensiero, catapultandolo in una condizione ancora più angosciante perché arriva quando sarebbe il tempo di godersi serenamente i frutti di ciò che si è seminato e, magari, prepararsi gradualmente e con dolcezza all’addio, circondati dall’affetto dei propri cari…

Ci si ritrova, invece, disorientati, impotenti, confusi, spaventati… e da questa paura scaturisce la rabbia e, ogni tanto, l’aggressività… e, pian piano, si diventa, senza colpa alcuna, un peso per se stessi e per chi ci è vicino… perché anche chi ti ama non riesce a seguirti nel confuso mondo in cui la tua mente sta scivolando.

D’altra parte, anche prima che la malattia lo colpisse, mio padre non è stato un uomo a cui fosse sempre facile star vicini: ha avuto momenti nei quali non era facile essergli moglie… e neppure figli.

Per questo io, oggi, mi sento confortato dal fatto che Renata ed io, già grandi, si sia trovato il coraggio di parlare con lui a viso aperto, per non tenere nulla dentro, per dirgli quanto alcuni atteggiamenti del suo passato ci avessero fatto soffrire da bambini… ed ancora di più mi conforta il fatto che quel colloquio si sia chiuso dicendogli che, al di là di quegli episodi, lui era stato, comunque, un buon padre… e che gli volevamo bene.

Io voglio sperare, voglio credere, che negli ultimi istanti della sua vita sia questo il pensiero, questo il ricordo che si è fatto strada nella sua mente e lo ha accompagnato.

Da parte mia caccerò in un angolo i rari ricordi non belli della sua esistenza e conserverò invece i molti momenti lieti e, in particolare, proprio quello del giorno di quella discussione, quando, alla fine, ci abbracciammo tutti e tre piangendo e sentimmo, nel profondo, che, nel bene come nel male, eravamo una famiglia.

Perché noi Abietti siamo così: mettiamo presto le nostre radici, ci costruiamo la nostra vita, andiamo a vivere lontano e ci frequentiamo poco… ma tra la nostra gente il frutto non cade mai molto lontano dall’albero… e non siamo mai veramente distanti.

Vorrei invitare i presenti, quelli che lo hanno conosciuto e gli hanno voluto bene, a fare la stessa cosa: a ricordarlo nei suoi anni migliori, nei suoi momenti (e sono stati tanti) più gioiosi…

Ricordatelo nella sua divisa da tranviere, quando conduceva la sua vettura di notte e gli amici dell’osteria di via Genova, conoscendo l’orario dei suoi passaggi, lo aspettavano lungo i binari con un bicchiere di vino in mano… come un pit-stop della formula uno…

Ricordatelo quando, con vecchi compagni, rammentava le sue vicende di soldato prima e Partigiano poi, trasformando anche storie drammatiche in scanzonate e affascinanti avventure.

Ricordatelo quando, sotto il pergolato d’uva fragola della vecchia casa in riva al Po, impugnava una chitarra e cantava qualche vecchia canzone… o quando, con un tappo di sughero bruciacchiato, si disegnava un paio di baffi in faccia per divertire tutta la compagnia.

Ecco:ricordatelo così.

E'questo, io credo, che gli sarebbe piaciuto.

Ciao papà.