lunedì 26 marzo 2007

Presentazione corso

Salve a tutti. Sono abietto e mi prendo la libertà di postare anche qui un annuncio che riguarda la presentazione di un corso tenuta da Equo a Milano questo sabato. Ecco tutti i dati che vi servono, nel caso voleste venire a dare un'occhiata. Sono certo che lui sarebbe felice di vedervi lì (e anche io)! Inoltre, potrebbe essere finalmente un'occasione per incontrarsi di persona, come dicono alcuni, nel "mondo reale"...

Il Centro Essere di Dinamiche Emozionali Orientali, il Centro A. Y. A. (Advanced Yourself Association) e la Scuola di Arti Marziali, Cultura e Crescita Personale Shintai Ryu hanno il piacere di invitarvi al pomeriggio di presentazione delle metodologie di dinamiche emozionali di origine orientale.

Troppo spesso vecchi condizionamenti, dei quali siamo solo parzialmente consapevoli, appesantiscono la nostra vita e le sottraggono colori e profumi. Antiche strade di crescita personale, già in uso nei Monasteri dell’Asia, si sono incontrate con la più moderna psicologia occidentale per dar vita ad un metodo rapido ed efficace per “ripulire” il nostro spirito e riportare armonia nella nostra esistenza. Lo stress, l’insicurezza le depressioni, gli stati d’ansia, le crisi di coppia, i disturbi alimentari, le dipendenze e tutti gli altri “mostri senza volto” che attentano alla nostra serenità possono essere affrontati e superati grazie ad un metodo che ha nel più profondo rispetto della persona e dei suoi tempi una delle sue caratteristiche.
Grazie ad una collaudata metodologia, allo stesso tempo “dolce” e “profonda”, diviene possibile sciogliere nodi che, talvolta, ci trasciniamo dietro sin dall’infanzia e… morire come bruchi per rinascere sotto forma di farfalla.

La presentazione avverrà presso l'associazione culturale TERZA ONDA, in via BELLARMINO 12 - 20141 MILANO, sabato 31 Marzo dalle ore 15:00 in poi. L'ingresso è libero, gratuito e senza alcun impegno.

Se avete bisogno di ulteriori informazioni per raggiungere il posto o se volete saperne di più, potete contattarmi direttamente all'indirizzo di posta elettronica abietto@abietto.net. Un saluto e a presto!

lunedì 12 marzo 2007

Salve a tutti: sono abietto e inserisco questo post su indicazioni di Equo:

"Sono spiacente: il mio pc è morto o, quanto meno, entrato in coma irreversibile. Mi dicono che andrebbe sostituito, ma non me lo posso permettere, per cui non so se e quando potrò aggiungere legna al nostro fuoco. Sono amareggiato e mi rendo conto che, per alcuni di voi, è come se avessi imbandito la tavola di un lauto pranzo per poi invitarvi al digiuno, ma non ho alternative. Se e quando mi sarà possibile riprenderemo da dove abbiamo lasciato: passate di qui ogni tanto e, magari, accompagnate degli ospiti. Il resto... è Karma. Namaste."

domenica 11 marzo 2007

SENTIERO


Ancora qualche dettaglio prima di provare a muovere qualche passo sul Sentiero…

Ho già avuto modo di spiegare come il concetto di “Maestro” venga interpretato in Cina e Giappone, ma, per comprendere qualcosa in più, dovremo rifarci alla cultura ed alla lingua dell’India.
In India ci sono, infatti, due termini che noi, volendo, potremmo tradurre con “Maestro”: Pandith e Guru.

Il Pandith è una persona erudita, molto colta, grande conoscitrice dei testi religioso – filosofici e molto abile nell’interpretarli, nello spiegarli e nell’insegnarli.
Tuttavia non è personalmente interessata alla realizzazione nella propria vita degli insegnamenti che essi contengono.
In altre parole il Pandith conosce a memoria i testi induisti, ad esempio, ma non aspira al Nirvana; comprende il messaggio del Buddhismo, ma non ambisce raggiungere l’Illuminazione.

Il Guru, al contrario, può anche essere un illetterato, talvolta persino un analfabeta, ma ha personalmente percorso una Via di conoscenza ed è in grado di accompagnare altri lungo il cammino da lui compiuto.

Per le caratteristiche peculiari del nostro Occidente contemporaneo qui da noi abbondano i Pandith e scarseggiano i Guru.
Noi crediamo nella “tecnica”, anche nel campo della crescita personale: se mi reco da uno psicologo non bado affatto a comprendere se egli ha una vita serena e se sa mettere in pratica i suggerimenti che può darmi; al massimo mi accerto che abbia conseguito una laurea ed abbia superato l’esame di stato come psicoterapeuta.
In effetti capita non infrequentemente che psicologi anche bravi nella loro professione, anche seriamente capaci d’aiutare gli altri ad uscire dalle loro ansie o depressioni, siano, nella loro vita personale, incasinati sino alle orecchie: dispongono di “conoscenze tecniche” e sanno applicarle… agli altri. Non sono personalmente interessati ad adottarle su di sé o, semplicemente, hanno difficoltà a farlo.
Non a caso, ad esempio, gli psicoanalisti freudiani sono tenuti ad avere un terapeuta di controllo.

Pur sapendo che, anche così, la cosa può funzionare (in una certa misura) la parte di me che risente di una formazione orientale nutre delle perplessità…
Francamente non mi affiderei volentieri ad un dietologo obeso.
E chi si fiderebbe mai di un odontoiatra con i molari cariati?
E perché, allora, per la nostra mente, per il nostro “spirito” , dovremmo avere meno riguardi che per il ventre od i denti?

Nel proseguimento di questo nostro rapporto (che non sarà sempre e solo informatico) vorrei anch’io, con tutta la modestia che è d’obbligo, fornirvi qualche strumento…ma, purtroppo o fortunatamente (fate voi), il mio modo di “fare formazione” è condurre le persone a realizzare qualche brandello di verità in primo luogo su se stesse, far loro compiere qualche passo su quel Sentiero che porta ad una maggior serenità interiore, perché, in questo modo, siano in grado, a loro volta, d’accompagnare altri almeno sino al punto in cui essi stessi sono giunti.

Io non so fare altro che spargere semi.
Il terreno fertile dovete mettercelo voi.

venerdì 9 marzo 2007

BALOCCHI E PROFUMI


Presto daremo seguito alle cose messe in moto da “Ashram” … nel frattempo, per intrattenervi…

…vi invito a fare un viaggio nel tempo e nello spazio.

Provate ad andare con la mente alla corte di Versaille, verso la metà del 1600.

Avete presente? Regna Luigi XIV, che sarà chiamato “Re Sole” e persino Voltaire definirà il suo regno “le grand siècle”.

La raffinatezza, l’amore per il bello, l’eleganza si esprimono in ogni cosa: l’architettura, i giardini e le fontane, lo sfarzo degli arredi e, soprattutto, l’abbigliamento della nobiltà di corte.
Vestiti elaborati, eleganti e colorati, ricchi di trine, merletti e fiocchetti, scarpette di vernice, parrucche incipriate, belletto sulle guance e, in particolare, un tripudio di profumi con cui aspergersi il corpo.
Per la buonissima ragione che, quei nobili signori, quelle vezzose dame, non si lavavano mai!

L’abitudine era fare il bagno un paio di volte all’anno e, spesso, senza cavarsi il camicione da notte di dosso: in assenza dell’estratto di mughetto, dell’essenza di viola, dell’ambra grigia e quant’altro, i frequentatori della corte del ricercato Re Sole avrebbero puzzato come caproni con l’alitosi!

Oggi, per nostra fortuna, nessuno (spero) si sognerebbe d’adottare un tale comportamento…almeno per quanto riguarda il corpo perché, in altri ambiti, non siamo molto dissimili.

Vedo persone che si dedicano a nobili attività quali (che so?) la Meditazione Trascendentale, lo Zen, il Reiki o (perché no?) gli Esercizi Spirituali di Ignaçio de Loyola…proprio come se versassero profumo su uno spirito che non è stato ben lavato dai condizionamenti del passato, dalle paure più nascoste, dai sensi di colpa inconsci…

Ecco: la Via su cui cammino, quella sulla quale mi piacerebbe accompagnarvi per un tratto, non ha la raffinatezza di un profumo francese, è più rozza, più semplice…come un bel pezzo di Sapone di Marsiglia grazie al quale darsi una bella ripulita a fondo.

Dopo (e solo dopo) ognuno potrà cercare il profumo che più gli si adatta ed usarlo per rendere più attraente una “pelle” finalmente senza macchie.

Parafrasando i versi citati qualche giorno addietro…

“Non m’interessa su quali Vie hai camminato e dove ti ha portato il tuo Sentiero, voglio sapere se hai il desiderio coraggioso di prendere tra le mani la tua anima per lavarla, sciacquarla ed indossarla ancora quando profumerà di pulito…”

mercoledì 7 marzo 2007

ASHRAM


Questo spazio, nato quasi per caso, si sta trasformando in qualcosa… ma prima di dirvi quale sia l’immagine con la quale me lo sto rappresentando, ecco un’antica leggenda dell’India…

In un’epoca estremamente remota, quando la Terra era giovane e le stesse montagne erano appena nate, gli Dei che conservavano il segreto della Vita vollero nasconderlo per impedire che l’Uomo lo trovasse prima del tempo in cui sarebbe stato capace di farne buon uso.
Brahma, allora, propose di seppellire il segreto sotto l’imponente mole del Monte Meru, ma Krishna scosse il capo dicendo:

“Prima o poi l’Uomo imparerà a scalare e scavare le montagne e saprà trovarlo!”

Allora Shiwa si offrì di sprofondarlo nel più cupo degli abissi marini, ma ancora una volta Krishna replicò:

“Con il tempo l’Uomo imparerà certamente anche a camminare sul fondo degli oceani e, esplorandolo, scoprirà il segreto della Vita!”

Vishnu, dopo aver riflettuto, disse agli altri Dei:

“Se nessun luogo del pianeta è abbastanza sicuro date a me il segreto: lo legherò ad una freccia che scaglierò con Sharnga, il mio potente arco, in modo che raggiunga la Luna!”
“Per quanto possa apparire strano…” – intervenne ancora Krishna – “…col passar dei secoli l’Uomo saprà giungere sino a lassù: nemmeno sulla Luna il segreto sarebbe protetto…”
“Tu, allora, dove lo celeresti?” gli domandò Brahma.

Krishna sorrise tristemente, prima di rispondere:

“Nel luogo che l’Uomo meno frequenta, in quello in cui ha più timore d’addentrarsi… Io lo nasconderei nel profondo del suo stesso Spirito…”
E lì il segreto giace ancora.

Ma ci sono strade, sentieri, per quanto impervi, per raggiungere il centro di se stessi.
Questo spazio nato per gioco si sta trasformando in una sorta di “Ashram” virtuale, un luogo di Ricerca per qualcuno, un semplice fuoco da bivacco attorno a cui scaldarsi prima di riprendere il cammino per altri…

Ed io mi trovo a dover decidere cosa farne.

Vi dirò cosa non amo di tutto ciò: non amo starmene qui, su una specie di pulpito, a spandere presuntuose perle di saggezza e, nello stesso tempo, a misurare tutta la mia impotenza per non poter fare davvero da Specchio.
Il termine “Maestro”, con il quale alcuni di voi mi hanno spontaneamente voluto definire, lo accetto nell’accezione orientale del termine: “Sifu”, in cinese e “Sensei” in giapponese tradotti letteralmente vogliono semplicemente dire “Nato prima”.
Nato prima non necessariamente in senso anagrafico, nato prima sul Sentiero della Ricerca, nato prima in quanto capace di guidare altri su una Via che lui ha già percorso.
Allora, però, occorre che i fantasmi elettronici delle mie parole si coprano di carne, pulsino di sangue, si arricchiscano di vita.

La prima cosa da fare, io credo, è quella di contarci.
Quelli tra di voi che avrebbero desiderio non solo di “sentir raccontare belle storie”, ma di viverle, lascino un segno.
Spargete la voce, invitate amici.

Quando conosceremo meglio coloro che siedono attorno al nostro fuoco da bivacco…tracceremo una strada e, chi vorrà, inizierà il cammino.

Nulla è più inutile al mondo di uno specchio in cui nessuno si riflette: se tutto ciò deve avere un senso siate voi a dirlo.

martedì 6 marzo 2007

DOPO LA SEDIA ...I L TAVOLO


“Così ti piace aiutare le persone, vero?” mi domandò il Maestro con la sua solita aria serafica e sorniona.
“Sì, certo…se posso…” risposi con la sicurezza della mia giovanissima età.

“Allora dovresti aiutare me, in questo momento”.

“Sono pronto, Maestro! Cosa debbo fare?”


“Oh! Nulla di complicato… Dovresti spostare quel tavolo che è appoggiato alla parete e portarlo qui, al centro della sala…”

Scattai come una molla, senza pensarci, verso il tavolo che mi era stato indicato e, solo mentre procedevo verso di esso, mi resi conto che si trattava di un mobile lungo nove metri, con un massiccio piano di solido legno e gambe che parevano quelle di un elefante.

Ma avevo detto che lo avrei aiutato!

Così mi cacciai sotto il tavolo e, facendo forza con la schiena, riuscii a sollevarlo di qualche centimetro dal pavimento e tentai di farlo strisciare verso il centro della stanza. Era un’impresa in cui anche Ercole avrebbe fallito…ma avevo promesso e non volevo, non potevo deludere chi contava su di me!

Fu in quel preciso momento, mentre quel peso immane mi scardinava la schiena, mentre le vene del mio collo sembravano voler scoppiare, mentre ogni muscolo era teso allo spasimo in uno sforzo senza risultati ed il cuore tambureggiava impazzito, che la voce del Maestro, pacata e calma come al solito, mi raggiunse dicendomi:

“E chiedere aiuto a tua volta, ogni tanto, nella vita?”

Compresi il messaggio, ovviamente…e ci provai anche. Ma la voce non voleva uscire e, quando riuscii ad articolare qualche parola, lo feci con un tono stridulo, tremante: una voce da bambino ben lontana dalla sicurezza che provavo pochi istanti prima.

Naturalmente al mio esitante: “C’è qualcuno che vuole darmi una mano?” una quindicina di baldi giovanotti scattarono verso di me…e quel dannato tavolo si spostò come se volasse.
In quell’istante, come in una piccola Illuminazione, capii due cose in rapida successione.

La prima era che avevo una fottuta paura di chiedere aiuto.
La parte più difesa della mia mente sussurrava: “E se nessuno risponde? Bada, ragazzo: sino a che ce la fai da solo puoi sempre pensare che, chiedendo, t’avrebbero aiutato…ma se lo fai e ti ritrovi da solo?”
La mia determinazione, il mio orgoglio, persino la mia forza d’animo nascevano…da una paura. Anzi: dalla Paura, quella con l’iniziale maiuscola: l’abbandono, la non-accettazione, la solitudine.

L’altra cosa che compresi era che il mio non chiedere mai aiuto era, in realtà, un atto d’egoismo: non permettevo agli altri di sentirsi generosi, disponibili, amorevoli.
A me, effettivamente, piaceva dare una mano, risolvere situazioni, sentirmi utile…e negavo questo piacere a chi mi voleva bene.

Malgrado tutta la strada fatta da allora confesso che, ancora oggi che la mia barba è bianca, non mi è facile chiedere aiuto e, se questo significa che, prima di farlo, devo provare a cavarmela da solo, con le mie forze, grazie ad una determinazione che non concede troppa indulgenza verso me stesso, mi sta anche bene.

Ma quando il “tavolo” è troppo pesante…

Lo so, lo so! Vi è capitato di domandare aiuto e il mondo, in quell’occasione, vi ha girato le spalle, facendovi sentire soli, spaventati, “non degni di soccorso”… e, allora, avete giurato a voi stessi che avreste camminato sulle vostre sole gambe, costi quello che costi!

Ma quando il "tavolo" è troppo pesante…

Basta un solo attimo di coraggio.

La Vita potrebbe anche stupirvi.

domenica 4 marzo 2007

UNA CARTOLINA DALL'AUSTRALIA


Ogni tanto vi affliggo con i miei “frammenti” di vita vissuta. Resistete: presto, spero, cominceremo a “fare” cose più interessanti…

Clara (nome di fantasia) me l’aveva spedita uno psicologo di Firenze, dicendomi solo che era “panfobica”, ovvero aveva paura di tutto.
Clara non entrava in un ascensore perché era assalita dalla claustrofobia; d’altra parte se provava a scendere le scale era colta da vertigini. Non sopportava di stare in mezzo alla gente, ma quando era sola cadeva in crisi di panico…
In poche parole non poteva vivere.
Aveva inoltre alcune paure specifiche: il colore rosso la agitava, il profumo d’incenso la faceva quasi svenire.
Oltre ai suoi sintomi ero stato informato solo del fatto che era rimasta orfana di madre all’età di quattro anni…e decisi di partire da lì, domandandole se potesse mostrarmi una fotografia della mamma.
Dal suo portafogli estrasse una foto-tessera: “E’ l’unica che ho…” – mi disse – “le altre le ho stracciate perché si vedeva che mamma aveva i polsi fasciati…”

“Ma le fotografie…”
– replicai – “si fanno nel corso degli anni! Tua madre non avrà mica avuto sempre i polsi fasciati, no?”

Così venne fuori tutta la storia…
Mamma era una ragazza-madre: il gentiluomo che l’aveva messa incinta, alla notizia, s’era eclissato per non farsi vedere mai più. Lei aveva scelto di avere comunque la bambina…ma aveva, allora, sedici anni: anche lei era una bambina!
Affrontò il parto, la riprovazione dei suoi genitori che volevano farla abortire, la vergogna, i pettegolezzi e, com’era inevitabile, cadde in una profonda depressione.
E fu lasciata sola ad affrontarla.
Schiacciata da cose tanto più grandi di lei tentava, periodicamente, di scappare da una realtà insopportabile, da tutto quel dolore, da tutte quelle responsabilità, grazie ad una lametta da barba.
Probabilmente all’inizio erano solo disperate richieste d’aiuto, ma non ci furono parenti, dottori o psicologi capaci di starle accanto.

E venne la volta che tagliò le vene nel modo “giusto”.
Morì dissanguandosi lentamente… STRINGENDO CLARA, DI QUATTRO ANNI, TRA LE BRACCIA!

Ora: la donna trentenne che avevo di fronte capiva tutto. Capiva la depressione di mamma, capiva che era stata una vittima e che aveva tanto sofferto, capiva la disperazione di un gesto estremo… Lei capiva.
Ma quella bambina no.
La bambina dentro di lei sapeva solo che la mamma l’aveva abbandonata, che l’aveva lasciata sola, a piangere sino a non aver più voce, mentre l’abbraccio che la stringeva si faceva sempre più freddo, mentre tutto quel rosso sangue la insudiciava.
Quella bambina era ferocemente arrabbiata con la mamma e non sapeva, non voleva perdonare quel terribile abbandono.
Ma come puoi provare rancore verso una madre che si è uccisa in preda alla più nera disperazione senza sentirti in colpa?
La rabbia di Clara le ritornava indietro, come un perverso boomerang, a spegnerle ogni possibilità di vita, di una vita che sentiva di non meritare.

Dovevo parlare direttamente a quella bambina, ma, per farlo, avrei dovuto riportarla a quel giorno, a quell’insopportabile dolore, a quella Paura madre di tutte le sue paure attuali.
Sapevo che lo stavo facendo per liberarla, eppure vacillai più di una volta mentre mi supplicava di smettere di tormentarla, mentre mi giurava (mentendo disperatamente) che, ora, aveva capito, che stava meglio, che…”…non è stata colpa sua, stava male…ma io sono piccola, ho paura…perché sei andata via? Perché? Perché? PERCHE’ MI HAI ABBANDONATA EGOISTA SCHIFOSA! PERCHE’?!!!”

Sì: questa volta ve lo meritate il lieto fine.

Clara fece il suo “esercizio” più importante, quello che io consideravo risolutivo, il sabato pomeriggio.
Per tutta la domenica mattina dovetti, periodicamente, chiederle di lasciare la sala dove si svolgeva lo stage perché…Clara scoppiava a ridere.

Senza motivo, senza ragione alcuna, improvvisamente risuonava la sua risata incontenibile: Clara stava ridendo per tutti quei lunghi, terribili anni in cui aveva pianto dentro.

Un mese dopo ricevetti una cartolina dall’Australia con i suoi saluti.
L’ho conservata a lungo.

sabato 3 marzo 2007

IL VECCHIO, IL MARE E LE ALLERGIE


Jorge soffriva di atroci dolori alla schiena che gli stavano rovinando la vita proprio ora che, raggiunta l’età della pensione, avrebbe invece voluto godersela dopo una dura esistenza passata in mare.
Era stato pescatore, marinaio e, negli ultimi 15 anni, proprietario e capitano di una bella imbarcazione attrezzata per la pesca d’altura con la quale conduceva turisti ed appassionati ad insidiare con canna ed esca i Marlin dalla grande pinna dorsale a vela, gli agili Barracuda, i potenti Tonni…
Dall’età di otto anni aveva passato gran parte del suo tempo sulla prua di un veliero o di una barca a motore lanciata a fendere le onde, lottando contro il vento impetuoso che gli soffiava in faccia e tentava di scaraventarlo sul ponte o, peggio, in mare. Il suo corpo aveva imparato con destrezza a difendersi da questa aggressione, spostando il peso in avanti, tenendo costantemente tesi i muscoli della schiena e delle cosce, bilanciando con la propria forza quella degli elementi ed “inventandosi” un equilibrio che contrastava la spinta del vento, il rollio ed il beccheggio delle barche.
La sua schiena era sempre stata sanissima, malgrado l’infinita dose di umidità che aveva dovuto subire ed il fatto che il suo lavoro fosse tutt’altro che leggero: il suo corpo sapeva come difendersi, mantenendo, nello stesso tempo, la salute.

Ora che, acquistata una casetta sulla Riviera ligure, non più soggetto a fatiche od al maltempo, avrebbe voluto riposare, lancinanti dolori gli davano il tormento.

Molte visite ortopediche, radiografie, manipolazioni chiropratiche non avevano dato nessun esito, così Jorge era finito davanti alla mia scrivania, a raccontarmi la sua vita avventurosa cercando una spiegazione.

Fu un gesto molto banale a darmi la giusta chiave di lettura del problema: mentre mi parlava dei suoi dolori, delle notti insonni, della stanchezza che lo stava debilitando, Jorge, ad un certo punto, mi chiese di poter accendere la sua vecchia pipa annerita dall’uso per cercare un po’ di conforto nell’aroma del tabacco…e, malgrado ci trovassimo in una stanza dalle finestre chiuse ed in una serena mattinata d’Aprile assolutamente quieta, lo fece proteggendo il fornello della pipa con le mani a coppa, come se dovesse riparare la fiamma del suo accendino da un furioso uragano tropicale…

La barca era stata tirata in secca, il vento era cessato…ma Jorge, condizionato da una vita di lotte e di fatica, continuava ad opporsi ad esso: quelle tensioni muscolari che gli erano state utili per tutta la vita ora, in assenza di una forza contraria che le compensasse, diventavano fonte di sofferenza.

Qualche volta la nostra esistenza c’insegna che difenderci è indispensabile per sopravvivere. Il problema è che il più delle volte continuiamo a farlo anche quando il pericolo è cessato.
Prendete, ad esempio (per restare nel campo delle somatizzazioni) le manifestazioni allergiche.
Che cos’è l’allergia se non una forma di “eccesso di legittima difesa” ?

Il mio organismo si difende da sostanze che, in realtà, sono del tutto innocue, considera “nemici” ed “invasori” pollini, peli animali, polvere…
L’allergico…continua a lottare contro il vento anche quando il vento è cessato.
Gli antistaminici possono alleviare i sintomi, ma la causa scatenante è altrove: in quella insicurezza che ci attanaglia strisciante e ci spinge a vivere costantemente “in guardia”, in guerra con il mondo, pronti a reagire contro chi non ci attacca per nulla.

Allargate il discorso, estendete le metafore e se, per caso, vi riconoscete in qualcosa di tutto ciò… cominciate a pensare che è tempo d’abbassare la guardia.

Signore e signori… la guerra è finita!

venerdì 2 marzo 2007

LUI, LEI E LA SEDIA


Allora: io avevo intenzione di scrivere tutt’altro. Ma questo blog sta cominciando a vivere una propria vita, indirizzata dai vostri commenti, dalle vostre domande… per rispondere esaurientemente alle quali, in realtà, dovrei compilare 6 post al giorno! Per ora beccatevi questa “storiella” che, ne sono certo, genererà nuove domande…

Marito e moglie (o anche conviventi, eh? Qui siamo favorevoli ai PACS, ai DICO ed anche alla regolarizzazione delle coppie gay) se ne stanno tranquillamente a dormire nel loro letto. Ad un certo punto della notte lui si alza per un non rimandabile bisogno fisiologico…sapete com’è: l’età, la prostata o, magari, solo una Guinness di troppo la sera prima…
Attraversa la stanza senza accendere la luce e sbatte violentemente un ginocchio contro una sedia che, anziché essere sistemata correttamente sotto il tavolo, è stata lasciata proditoriamente quanto involontariamente sul suo cammino.

Reazione di tipo A:
Ecco! Sei la solita disordinata! Non hai messo a posto la sedia ed io mi sono fatto male!”

Come può reagire, una persona, svegliata all’improvviso e sentendosi aggredita? Molto probabilmente dirà qualcosa del tipo:

“E sarebbe colpa mia? Sei tu che sei tanto scemo da attraversare la stanza al buio! Se accendevi la luce non ti facevi male!”


“Io non ho acceso la luce per non disturbare te! Ma tu ‘ste cose non le capisci… Proprio come quella strega di tua madre che…”


“Lascia stare quella santa donna di mia madre!”


E via di questo passo, andando avanti a litigare tutta la notte e tirando in ballo cose avvenute anni prima, in un gioco di accuse e contro-accuse in cui non è più importante chi ha ragione o torto, perché l’unica cosa che conta è avere la meglio sull’altro.

Ora: proviamo ad immaginare che lui abbia una reazione di diverso tipo, ovvero che sbattendo il ginocchio, esclami qualcosa come…:

Reazione di tipo B:
Ahia! Ma guarda che scemo che sono! Non ho acceso la luce e sono andato a sbattere contro la sedia!”

Lei reagirà nello stesso modo di prima o, forse, non si troverà a rispondere, invece:

“Oh, no! Scusa, caro: è colpa mia… Avrei dovuto rimettere a posto quella sedia! Ti sei fatto male?”


E la nottata prenderà tutta un’altra piega.

Cosa è avvenuto? Che l’uomo…”ha mostrato la gola” (come i lupi, ricordate?), ovvero è partito, non aggredendo (cosa che induce sempre ad una difesa), ma mostrando le proprie debolezze in modo da “fermare la lancia” preventivamente e non innescare l’aggressività nella moglie.

Il discorso sarebbe lungo, ma, alla fin della fiera, il messaggio è chiaro: non possiamo cambiare gli altri, tuttavia la chiave dei loro comportamenti è, in parte, in nostra mano. Se abbiamo abbastanza coraggio da partire, in un confronto, mostrando la gola anziché i muscoli o i denti, possiamo segnare in modo positivo il percorso del confronto stesso. Infatti, nella reazione A, l’uomo, in realtà, cede alla paura:
Ho fatto rumore, l’ho svegliata. Adesso sarà arrabbiata e mi aggredirà! Parto per primo!”

La donna, a sua volta, sentendosi assalita, non ha altra scelta che replicare rincarando la dose.

La nostra personale sicurezza (parola importantissima) ci consente di non essere aggressivi; la nostra non-aggressività influisce sulle altrui reazioni e, in una certa misura, aiuta anche il loro cambiamento in senso collaborativo.

Ergo: diventare persone più sicure di sé ci permette di cambiare, se non gli altri, quanto meno il rapporto con gli altri.

Come si acquista una tale sicurezza?

Bèh! Questo è un altro discorso.

giovedì 1 marzo 2007

VOGLIO SAPERE


Mi spiace: non ricordo l’autore. Erano versi che, talvolta, mi capitava di leggere all’inizio dei miei stage per spiegare ai partecipanti cosa volevo sapere da loro.
Ora li rivolgo a voi…



Non mi interessa cosa fai per vivere,
voglio sapere per cosa sospiri e se sei disposto a giocarti il tutto
per trovare i sogni del tuo cuore.
Non mi interessa quanti anni hai,
voglio sapere se ancora vuoi rischiare di sembrare uno stupido per amore,
per i sogni, per l'avventura di essere vivo.
Non voglio sapere che pianeti minacciano la tua luna,
voglio sapere se hai toccato il centro del tuo dolore,
se sei rimasto aperto dopo i tradimenti della vita
o se ti sei rinchiuso per paura del dolore futuro.
Voglio sapere se puoi sederti con il dolore, il mio o il tuo,
se puoi ballare pazzamente e lasciare che l’estasi ti colmi fino alla punta delle dita,
senza preoccuparti di avere cautela, di essere realista
o di ricordarti le limitazioni degli esseri umani.
Non voglio sapere se la storia che mi stai raccontando sia vera,
voglio sapere se sei capace di deludere un altro per essere autentico a te stesso,
se puoi subire l'accusa di tradimento e non tradire la tua anima.
Voglio sapere se sei fedele e, quindi, degno di fiducia.
Voglio sapere se sai vedere la bellezza anche quando non è bella tutti i giorni...
e se sei capace di far sorgere la tua vita con la sua sola presenza.
Voglio sapere se puoi vivere con il fracasso, tuo o mio,
e continuare a gridare all'argento di una luna piena: “Sì!”!
Non mi interessa sapere dove abiti o quanti soldi hai,
mi interessa se ti puoi alzare dopo una notte di dolore,
triste e con l’anima pesta, e fare quel che si deve fare per i bambini.
Non mi interessa chi sei o come hai fatto per arrivare qui,
voglio sapere se sapresti restare in mezzo al fuoco con me e non retrocedere mai.
Non voglio sapere cosa hai studiato o con chi o dove,
voglio sapere cosa ti sostiene dentro, quando tutto il resto è crollato...
Voglio sapere se sai stare da solo con te stesso
e se veramente ti piace la compagnia che hai nei momenti vuoti...