mercoledì 31 ottobre 2007

LA CULTURA DELLE MOSCHE


Volevo scrivere tutt’altro, ma mi sono reso conto che, perché le mie parole fossero comprensibili (dato che, spesso, mi capita di non sapermi esprimere con la dovuta chiarezza e semplicità) sarebbero state necessarie delle premesse e delle postille che avrebbero appesantito troppo il discorso.
Di conseguenza… “la prendo alla larga”, trasformando le premesse in interventi autonomi che, mi auguro, non saranno comunque privi di un qualche interesse e che dovrebbero poi comporsi in un tutto organico, come le tessere di un mosaico che consentono, alla fine, d’intuire quale fosse il disegno.
Nel primo tassello si parla di “conoscenza”…

E’ mia personale opinione che uno dei drammi misconosciuti della nostra epoca sia la superficialità.
Faccio un esempio, così sarò meno tedioso…

Ammettiamo che io m’imbatta nella parola “semiotica” e che non sappia di che si tratta. Nessun problema: digito il termine misterioso su un qualche motore di ricerca e, due secondi dopo, quella benemerita istituzione che è Wikipedia mi fornisce una definizione, un elenco dei suoi più autorevoli rappresentanti, una piccola bibliografia ed una serie di link a siti in cui ne posso sapere di più.
Così, pienamente soddisfatto, io posso convincermi di conoscere, adesso, cosa sia la semiotica… e domandarmi come mai quello scemotto di Umberto Eco abbia sprecato anni della sua vita per studiarla, visto che era così semplice!

Ovviamente sto parlando della differenza tra “conoscenza” e “nozionismo”, ma, purtroppo, noi viviamo in una società dove la più alta forma di cultura sembra essere il quiz televisivo e dove si stampano dei manuali tipo “Come saper parlare di…” ed al posto dei puntini ci potete mettere la filosofia, la storia dell’arte, la fisica nucleare o quello che più vi aggrada.

In questi manuali si condensano una serie di frasi fatte e di concetti semplificati al massimo, buoni per fare bella figura in società senza doversi prendere la briga di conoscere veramente l’argomento: sono stato invitato al vernissage di un’amica pittrice e capisco di pittura più o meno quanto una cozza comprende la teoria della relatività generale?
Non importa: imparo a memoria un paio di frasi ad effetto, aspetto, con il mio Martini-Vodka in mano, l’occasione giusta e, non appena qualcuno nomina Magritte, butto là un: “Adoro le sue visioni oniriche! Trovo sia una sorta di De Chirico pervaso di poesia e stupenda, ricercata, ingenuità!” e, anche se non ho mai visto un quadro di Magritte in vita mia e, francamente, non me ne frega niente, ho fatto un figurone!

Tornando alla Rete, poi, c’è da dire che lo stesso strumento che ci mette a disposizione miliardi di nozioni ci consente anche di comunicare le nostre opinioni al mondo intero… ed il mondo, infatti, si sta popolando di persone grossolanamente informate che pontificano su ogni cosa... anche perché un effetto collaterale di una tale impostazione porta a credere che cose come il "buonsenso" o la "ragionevolezza" siano di per sé bastanti per costruirsi un'idea corretta sulla vita, l'universo e tutto quanto...

E’ democrazia?
Forse… e, sicuramente, è comunque meglio di quando solo pochi individui di caste privilegiate erano ritenuti i depositari della verità e della conoscenza!

Tuttavia se, nell’allargare le possibilità d’informazione e di discussione, ci dimentichiamo della profondità che sempre si accompagna alla vera conoscenza… combiniamo un guaio: ad una maggior possibilità di democrazia comunicativa deve necessariamente far riscontro una rivalutazione della meritocrazia, ossia il riconoscimento del fatto che se una persona ha studiato per anni medicina potrà parlare delle condizioni del mio fegato con maggior autorità di chi si è limitato a consultare una tavola anatomica in Internet o su un Bignami.

Altrimenti caschiamo nella barzelletta, quella che dice: “Ci dev’essere qualcosa di buono, nella merda: miliardi di mosche non si possono sbagliare!”

Partiamo da qui… così, tra un po’, ci potremmo occupare, forse, di una particolare interpretazione dell’Analisi Transazionale…

Giù le mani dalla tastiera! Tanto non serve che andiate a vedere cosa ne dice Wikipedia, capito?!

sabato 27 ottobre 2007

RELAX, PLEASE...

Mike Oldfield - Tubular bells

[via FoxyTunes / Mike Oldfield]

lunedì 22 ottobre 2007

HALLOWEEN


Ci sentiamo quando la Porta tra i mondi si sarà richiusa...

domenica 21 ottobre 2007

PRIMA TAPPA

Allego la lettera ricevuta dai promotori della petizione contro la nuova legge sull'editoria... che si commenta da sé.

Ragazzi la nostra petizione, l'unica su Libero, è andata benissimo. Bene anche le altre sulle altre piattaforme. Fortunatamente qualcosa da quel Consiglio dei Ministri è trapelata, così ci siamo potuti muovere e abbiamo fatto tremare le poltrone dei nostri ministri. Mentre Levi, promotore della legge ha mandato una lettera a Beppe Grillo poco chiara che certo non chiariva i nostri dubbi sulle sorti dei blog, oggi il Ministro alle comunicazioni Gentiloni ha annunciato cambiamenti al Ddl sotto accusa. Una grande vittoria del popolo dei bog quindi riuscita solo grazie alla grande mobilitazione. Ora però non cantiamo vittoria troppo in fretta. Dobbiamo rimanere vigili fino a quando questo Ddl non verrà definitivamente cambiato. Invito quindi tutti ad informarsi quotidianamente di ciò e ad avvertire gli altri nel caso ciò non avvenga o avvenga comunque qualcosa non condivisibile. I dati raccolti con la petizione li costudirò nella casella email secondo le normative sulla Privacy ai soli fini della petizione e informativi riguardo ad essa. Nel caso qualcuno noti qualcosa che non quadra nei prossimi giorni riguardo alle mosse dei Ministri sui blog mi metto a disposizione e basta che me lo facciate sapere tramite i consueti canali e sono pronto a mandare mail a tutti gli aderenti alla petizione per inventarci qualche tipo di mobilitazione. Una cosa è certa, il popolo dei blog non è disposto a morire!

venerdì 19 ottobre 2007

CARO AMICO, TI SCRIVO...


Allego copia della lettera da me inviata a Riccardo Franco Levi, primo firmatario della proposta di legge sull'editoria di cui si parla nel post precedente.
Se avete voglia di farvi senire anche voi... questo è l'indirizzo:
levi_r@camera.it



Egregio signore, al fine di sfatare le dicerie che la vorrebbero autore di un disegno di legge di fatto limitativo della libertà di espressione in Internet, la invito calorosamente a farsi promotore di emendamenti a tale legge che preservino la possibilità per i “blog” ed i siti personali di continuare a godere delle attuali possibilità espressive. Impedirà in questo modo tutte le srumentalizzazioni possibili ai danni del governo e si muterà in un paladino della libertà di parola, salvaguardando, nel contempo, le altre, legittime finalità della legge proposta.
Se, dopo la “fuga dei cervelli” che costringe molti nostri ricercatori di vaglio a trasferirsi all’estero, dovessimo assistere alla “migrazione dei blog” in cerca di una maggior libertà in altri Paesi, l’Italia rischierebbe di vedersi associata a nazioni illiberali ed autoritarie e questo, ne sono certo, non è lo scopo della legge, né nei desideri dell’attuale governo del Paese.
O, per lo meno, così voglio sperare.
Cordiali saluti.

Bruno Abietti (Equo)

GIU' LE MANI DAI BLOG!


Riprenderemo presto le nostre discussioni "filosofiche, mi auguro, ma, per il momento, vorrei lanciare una campagna preventiva di difesa della libertà d'espressione contro la proposta di nuova legge sull'editoria che, pur con una certa ambiguità (probabilmente voluta) rischia di infierire sul mondo dei bloggers, obbligandoli a limiti e balzelli. Chi volesse saperne di più faccia un salto su "Solleviamoci" e , nel frattempo, dato che (come si dice) a pensar male si commette peccato... ma ci si azzecca, entriamo tutti sul piede di guerra, rammentando ai nostri politicanti l'articolo 21 della Costituzione della Repubblica Italiana, che, nelle sue righe iniziali, recita: "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione".
Se si arrivasse concretamente al tentativo di limitare questa libertà io m'impegno sin d'ora ad ogni possibile forma di disobbedienza civile e di azione diretta in sua difesa. Invito quei Parlamentari che hanno ancora a cuore le libertà individuali (se ci sono) a proporre emendamenti alla legge, prima della sua approvazione, per escludere i blog ed i siti personali dai vincoli della stessa ed, eventualmente, a far ricorso alla Corte Costituzionale perché sia dichiarata la sua incompatibilità con il suddetto articolo 21 della Costituzione.
Se tutto ciò non dovesse servire il popolo della Rete inventerà i suoi modi di lotta e, ne sono certo, saprà farsi sentire.
Se avete a cuore la vostra libertà espressiva riprendete e diffondete l'appello, nelle forme più congeniali ai vostri blog.
C'est ne qu'un debut, continuons le combat!

sabato 13 ottobre 2007

L'UOMO DEI SECCHI


La casa dei miei nonni materni sorgeva in campagna, sulla sponda del grande fiume, come ho già avuto modo di accennare.
Come molte case rustiche aveva ancora il gabinetto all’esterno, alla turca (come si diceva): in pratica uno scomodo stanzino con al centro un profondo foro che finiva in una fossa biologica.
Periodicamente, per svuotare la fossa del suo non gradevole contenuto, arrivava “l’Uomo dei Secchi”.
A quell’epoca, infatti (la guerra era finita da non molto) non c’erano pompe idrovore o altre diavolerie del genere: c’era, invece, questo omino con delle lunghe pertiche sulle quali aveva agganciato alla meglio delle rugginose latte di una buona dimensione che, un tempo, avevano contenuto passata di pomodoro, olio o acciughe sotto sale.
Scoperchiava il pozzo sollevando la pesante lastra di pietra che lo ricopriva, calava le sue latte e, pian piano, trasferiva tutto il contenuto della fossa sul vecchio e scassato camioncino con cui era arrivato.
Malgrado fosse una persona pulita ed ordinata non era possibile avvicinarlo senza sentire, probabilmente per suggestione, un certo lezzo di escrementi… e la sua vita sociale non doveva essere un granché.
Ciò nonostante era l’uomo più allegro che io avessi mai conosciuto: faceva il suo lavoro cantando e fischiettando ed aveva sempre un sorriso pronto per noi bambini che, un po’ morbosamente, gli stavamo intorno mentre si affaccendava in quella sua non esaltante attività.
Con la faccia tosta che, spesso, non manca ai ragazzini, un giorno non mi trattenni ed osai domandargli:

“Scusa! Ma come accidenti fai a sembrare così felice malgrado, lascia che te lo dica, questo lavoro di merda!”

“Vedi…” – mi rispose con il suo immancabile sorriso – “… tu guardi questo liquame e vedi solo escrementi ed orina, cose brutte e puzzolenti! Ma io so che il carico del mio camion finirà per fare da concime, così non guardo al presente, ma al futuro… e dove tu vedi solo merda io scorgo i rossi pomodori, i delicati pisellini… o, magari, le splendide rose che nasceranno grazie a me…”

Non ho più scordato la lezione di quel poeta… ma sono stato anche attento, spero, a non interpretarla male, perché è troppo facile trarne una morale di rassegnazione, una sorta d’invito a trovare qualcosa di buono anche nella peggiore delle condizioni, trasformarla, cioè, in un alibi per non migliorarsi.
Occorre, al contrario, cercare nel mondo e dentro se stessi sino a che non si trova il “posto giusto”, il “giusto mestiere”, la situazione che ci permette di sentirci in armonia con la vita.

A questo punto, davvero, non è più importante cosa facciamo, dato che abbiamo scoperto chi siamo!
Meglio un “Uomo dei Secchi” che maneggia le feci fischiettando, che un direttore di banca frustrato dal suo lavoro…

Comunque, la prossima volta che la vostra vita vi sembrerà piena di merda… provate a guardare al futuro ed a vedere le rose.

venerdì 12 ottobre 2007

FUNI, SPECCHI E CANGURI (pochissimi i canguri)

Una trentina d’anni or sono, tra le cose che credevo di sapere su me stesso, c’era, saldamente radicata, la convinzione che avessi un buon rapporto con il dolore fisico, che la mia capacità di sopportazione dello stesso fosse al di sopra della media.

Non era una presunzione semplicemente campata in aria: la vita, purtroppo, mi aveva costretto a misurarmi con prove che alla maggior parte delle persone sono fortunatamente risparmiate… Preferirei non entrare in dettagli, ma vi prego di credere che erano state esperienze decisamente pesanti, alle quali avevo visto molti piegarsi, e che, tutto sommato, io ne ero uscito piuttosto benino.
Avevo, quindi, dei buoni motivi per credermi, non dico uno stoico (nel senso comune e non filosofico del termine) ma, quanto meno, non certo un piagnone o un pusillanime.

Poi è arrivato un inaspettato specchio…

Questa volta aveva la forma di una fune, una grossa e lunga fune tesa tra due alberi, a qualche metro dal suolo.
Tutto ciò che mi era richiesto di fare era strisciarvi sopra… o, meglio, sotto, in quanto, aggrappato ad essa con mani e piedi, la faccia verso il cielo, mi sarei dovuto trascinare sino a raggiungere l’estremità opposta rispetto a quella di partenza.
Non era neppure la prima volta che indulgevo a questo giochino… Questa volta, però, quella dannata fune era nuovissima.
Non so quanti di voi lo sanno, ma le funi nuove, prima d’essere ammorbidite e lisciate dall’uso e dagli agenti atmosferici, sono rigide come pali e, soprattutto, ruvide come carta vetrata!
Per rendere tutto più interessante io ero a piedi nudi e, a metà della fune, le mie caviglie erano già scorticate e sanguinavano come un maiale sgozzato…
Ad ogni palmo di corda guadagnato la fune strisciava impietosa sulla carne viva, provocando dolori lancinanti. Per farla breve arrivai a tre quarti del percorso previsto e, poi, mi arresi e mi lasciai cadere a terra…

Come i miei piedi doloranti toccarono il suolo, però, fui folgorato da una domanda molesta: “Perché ho ceduto al dolore?”
Avevo, in passato, sopportato ben di peggio: perché, questa volta, il mio presunto “stoicismo” era venuto meno?
Seduto a terra, sotto l’oggetto della mia umiliazione, passai in rassegna quegli episodi che mi avevano convinto di saper affrontare il dolore fisico… e mi accorsi di una costante che li accomunava tutti: non avevo avuto scelta!
Certo: in almeno una circostanza sarebbe bastato aderire a ciò che volevano coloro che mi stavano infliggendo dolore per far cessare i tormenti… ma avrebbe significato tradire tutto ciò che amavo di me… e questo, nel mio modo di pensare, era semplicemente improponibile; in altre occasioni la possibilità di far cessare il dolore era, semplicemente, fuori dalle mie possibilità e, quindi, lo avevo sopportato bene perché, tanto, piangere od urlare non lo avrebbe alleviato…

Su quella fune benedetta, invece, ero stato veramente libero di scegliere: in fondo non era importante che arrivassi o meno dall’altra parte, nessuno avrebbe pagato per il mio fallimento o avrebbe guadagnato dal mio successo; non ero tenuto a farlo per via di qualche imperativo morale, non avevo forti motivazioni per continuare a soffrire…
Potevo scegliere, appunto. Ed avevo scelto di non soffrire più!

A questo punto mi si aprivano di fronte alcune possibilità…
La prima era quella di dirmi, appunto, che il gioco, questa volta, non valeva la candela, sussurrando al mio stesso orecchio frasi rassicuranti come: “Ehi! Non ti angustiare, amico! Quando serviva veramente, il dolore lo hai sopportato, no? Questa volta non c’era nulla d’importante in ballo e, quindi, hai fatto una cosa saggia…”

Oppure avrei potuto dirmi che era colpa della corda troppo ruvida, di chi l’aveva scelta, di chi non mi aveva preavvisato…

In entrambi i casi avrei preservato l’immagine che avevo di me… e rifiutato quella che “lo specchio” mi rimandava.

Viceversa potevo prendere atto dell’accaduto e rendermi conto che, almeno in quel campo, avrei dovuto rivedere ciò che pensavo di me stesso.
Aderendo a questa seconda ipotesi si aprivano altre due possibili strade: accettarmi nella nuova versione o cercare di cambiare per diventare simile a ciò che credevo d’essere prima che la fune mi scorticasse le caviglie.

Che cosa ho scelto io non è importante: prima o poi tutti trovano una fune, uno specchio, un rimando d’immagine che entra in conflitto con la percezione che avevamo di noi… e tutti si trovano a dover decidere prima se accogliere o rifiutare questo messaggio e, dopo, qualora ne prendano atto, se accettarsi per ciò che sono veramente o cercare di modificarsi.
Diciamo subito che la maggioranza delle persone, se lasciate a se stesse, quando lo specchio riflette qualcosa in cui non si riconoscono… attribuisce la colpa all’imperfezione dello specchio stesso.
Ma aggiungiamo anche che questo accade non solo quando l’immagine che ci viene trasmessa è più “brutta” di quanto siamo disposti ad ammettere: succede anche se la vediamo migliore di quanto ci consideriamo!

Perché una persona non abbia voglia di vedersi peggiore di quanto si reputa è facile da capire.
Ma per quale strano meccanismo dovremmo rifiutare d’ammettere d’essere migliori di come ci valutavamo?!
Per accennarlo farò, ovviamente, un discorso generico, valido per “grandi numeri”… anche se, in realtà, la situazione andrebbe valutata caso per caso, individuo per individuo…

Sta di fatto che se sono costretto ad ammettere di valere più di quanto credevo… poi mi tocca mantenere fede a questa nuova immagine di me… e, qualche volta, è faticoso!

Trascorrevo l’estate con un gruppetto d’amici in una bella casa di uno di loro, in Liguria. Io, in realtà, ero decisamente preso dallo scrivere uno dei miei libri e non collaboravo molto alle faccende domestiche… anzi, per essere sincero, non collaboravo per niente! Uno di loro, quindi, mi disse un bel giorno: “Senti: sappiamo che sai fare un ottimo caffè. Fai almeno quello: facci trovare il caffè per la colazione!”
Così, la mattina successiva, preparai il caffè per tutti… dimenticandomi di mettere l’acqua nella caffettiera e provocando un piccolo disastro.
Il risultato fu che tutti gli altri, scuotendo la testa, decisero che sul piano pratico ero un imbranato della peggior specie… e smisero di rompere perché dessi una mano, lasciandomi libero di perdermi nella scrittura.
Badate bene: il mio non fu un gesto consapevole, una furbata; fu una vera, autentica dimenticanza… ma sono assolutamente certo che ad indurmi alla fatale distrazione fu un moto dell’inconscio, deciso a presentarmi peggio di ciò che ero in realtà per garantirmi quella tranquillità cui aspiravo…

Ciò che ci guadagnamo dal presentarci al mondo peggiori di quanto siamo è il fatto che, in questo modo, il mondo stesso non si aspetterà troppo da noi: se riusciamo in qualcosa saranno tutti favorevolmente impressionati, se, al contrario, falliamo, non saranno poi così delusi perché, in fondo, se lo aspettavano… In entrambi i casi non correremo il rischio di sentirci rimproverare o rifiutare.

Accade spesso (ma non solo) in quelle persone che hanno avuto il famigerato modello di educazione nella quale se fanno qualcosa di buono si sentono dire che hanno fatto solo il loro dovere, mentre se commettono errori vengono severamente redarguiti e puniti.
Ci si blocca un po’, si vive secondo la logica di presentare “un basso profilo”, di limitare le aspettative altrui per non deluderle…
Ci sono molti simpatici aneddoti, in merito….ma mi sembra d’aver già scritto un po’ troppo, anche per i miei standard, per cui… rinviamo.

E state alla larga dalle funi e dagli specchi, se non volete sorprese.

giovedì 11 ottobre 2007

AGORA'


Ogni tanto ho voglia di giocare. Lo farò tramite la scelta della forma in cui presentare questo post. Sempre per gioco mi sono preso la libertà d’imprestare ai personaggi di questo dialogo delle conoscenze astronomiche, genetiche e, in genere, scientifiche che non potevano possedere.
E questo è il risultato…


“Dimmi, dunque, Critone, cosa convenga fare all’uomo saggio qualora si trovi ad affrontare un argomento su cui non ha condotto studi ed a proposito del quale ha solo una modesta esperienza…”

“Oh, Socrate! E’ mio parere che gli convenga tacere ed ascoltare coloro che maggiorente sono edotti in tale argomento!”

“Certamente, mio giovane amico. Ma se, su un tale argomento, egli volesse, malgrado tutto, esprimere la propria opinione?”

“Allora, Maestro, dovrebbe affidarsi al buon senso ed a ciò che gli suggeriscono gli occhi, le orecchie e la sua mente…”

“Possiamo noi, dunque, fidarci sempre di ciò che ci dicono i sensi e la ragionevolezza?”

“Presumo di sì, Socrate!”

“Allora, osservando il moto del Sole con i miei occhi e stando a ciò che il suo arco nel cielo mi suggerisce, devo dedurne che la Terra è immobile ed il luminoso astro le ruota intorno…”

“Non è così, oh Socrate, e tu lo sai bene: è la Terra a girare attorno al Sole!”

“Ciò che dicono i miei occhi, dunque, può essere illusione… ed illusione, di conseguenza, è anche ciò che posso dedurre con la mente ed il buon senso comune. Come posso, allora, avvicinarmi alla verità?”

“Come dicevamo: ovvero usando più occhi e più menti, nutrendoti del pensiero di quegli uomini che più a fondo hanno studiato la Terra, il Sole e le stelle…”

“Devo, allora, affidare il mio giudizio ad altre persone?”

“Così come affidi il tuo corpo al cerusico quando è ammalato, fidandoti della sua scienza…”

“Ciò che vale per il corpo è vero anche per la mente? Chi sono i cerusici della mente, Critone?”

“I filosofi, Maestro. Coloro che hanno dedicato la vita a cercare di comprendere l’Uomo”.

“Allora parliamo dell’Uomo, se vuoi…”

“Oh, Socrate! Facciamo mai, in realtà, qualcosa di diverso?”

“Forse no, forse no… Dimmi, dunque, che cos’è un individuo?”

“Qualcosa di unico. Anzi: l’insieme di più cose uniche ed irripetibili, poiché irripetibile è la miscela dei caratteri che gli trasmetteranno il padre e la madre ed ugualmente irripetibile è la sequenza di esperienze che ne forgeranno il carattere…”

“Ed un individuo così unico è anche, a tuo giudizio, parte di qualcosa di meno unico?”

“Certamente, Socrate! Ogni individuo è un Uomo… che, a sua volta, può essere un Ateniese, uno Spartano, un Barbaro… E tutti hanno succhiato il latte dalla madre e, in questo, sono simili ad un cane o ad una giumenta…”

“Vero: e uomini, cani e giumente sono esseri viventi… e questo lo hanno in comune anche con le mosche, con le amebe, con questo albero d’olivo sotto cui stiamo discorrendo…”

“Questo è senz’altro vero, Socrate…”

“Esisteranno, allora, dei bisogni dell’individuo, dei bisogni dell’uomo, dei bisogni del mammifero ed altri che sono comuni a tutto ciò che vive?”

“E’ ragionevole che sia così!”

“Vediamo, dunque. Quali bisogni in comune ha Critone con un’ameba?”

“Nutrirsi, perché sopravviva l’individuo… Riprodursi, perché sopravviva la specie…”

“Bisogni semplici. E quali bisogni accomunano Critone al suo cane?”

“Oltre a quelli dell’ameba avere affetto e protezione…”

“Critone ha anche bisogni comuni agli altri uomini?”

“Certamente, Maestro! Essere stimato, avere amici, apprendere e conoscere…”

“Ci saranno, poi, i bisogni che sono propri di Critone e di nessun altro…”

“Continuare a discorrere con te, oh Socrate!”

“Se, allora, io volessi aiutarti a soddisfare i tuoi bisogni, basterebbe che ti considerassi al pari di un’ameba?”

“Non lo vorrei, Maestro!”

“Di un cane? Di un uomo come tanti?”

“Preferirei che mi trattassi come se… fossi Critone!”

“E così, infatti, faccio. La Vita, Critone, si evolve dalle forme più semplici ad altre sempre più complesse. I bisogni comuni a tutto ciò che vive non possono essere ignorati… ma l’Individuo è qualcosa di assai più complicato d’un olivo! In lui le necessità dell’anima divengono più importanti d’ogni altra cosa, nel bene e nel male. L’uomo diviene capace di sacrificare la propria vita per quella di chi ama, ignorando i comandamenti che generano le scelte dell’ameba, e, nello stesso tempo, è capace di lasciarsi morire di fame per rimirare con presunzione la propria immagine in uno specchio d’acqua, come si dice che accadde a Narciso!
Se vuoi essere d’una qualche utilità per un individuo non trattarlo come se fosse un’ameba, un cane od un Ateniese: rivolgiti a lui solo e sempre come a quella persona che, pur essendo Ateniese, Uomo ed Essere Vivente, è unica ed irripetibile.
Lo ricorderai, Critone?”

“Sì, oh Socrate. Lo ricorderò!”

mercoledì 10 ottobre 2007

VENGHINO, VENGHINO!


Temo che dovrò (momentaneamente) ancora soprassedere alla pubblicazione del post che intendevo scrivere a proposito del “non riconoscersi nello specchio”, per esprimere nuovamente in modo meno sommario la mia opinione su quest’ultima discussione sulla “Teoria dei Bisogni” (diciamo così).
La mia abituale logorrea m’impedirà la concisione, ma, ormai, vi siete abituati e sarete pazienti, vero?

Intanto una premessa: trovo sempre curioso il fatto che l’approccio a determinati argomenti sia profondamente diverso da quello che, abitualmente, si ha nei confronti di altri.
Mi spiego: se il tema della discussione fosse stato (che so?) il calcolo dei carichi necessario per l’edificazione di un ponte e, tra di noi, ci fossero stati un architetto ed un ingegnere edile, molto probabilmente ci saremmo limitati a leggere le loro conclusioni ed a cercare (qualora la cosa avesse smosso il nostro interesse) di apprendere qualche nozione. Allo stesso modo, anche in categorie più opinabili e soggette al gusto personale, come, ad esempio l’arte, se ci fosse accaduta la fortuna di godere dell’intervento, ad esempio, di Philippe Daverio (noto critico d’arte ed una delle poche persone in grado d’interessare veramente e divertire nel divulgare le sue competenze) avremmo fatto tesoro delle sue opinioni, in quanto, anche se Salvador Dalì può continuare a non piacerci, grazie alle conoscenze di un esperto ci sarebbe stato quanto meno possibile comprendere un po’ meglio perché l’esuberante pittore spagnolo ficcasse nelle sue tele orologi molli o tigri dalle zampe filiformi…

Quando, al contrario, si finisce con il parlare dell’essere umano, della sua mente e di come funziona… ognuno diventa improvvisamente un esperto, come se l’appartenere al genere umano fosse di per sé una qualifica sufficiente e come se non contasse nulla che qualcuno si sia preso la briga di passare anni su anni in studi e sperimentazioni.
Una frase classica che mi son sentito ripetere sino alla nausea è: “Questa è la mia vita! Vuoi che uno psicologo ne sappia più di me?!”
Di solito rispondevo: “Quelli sono i tuoi denti: perché non te li curi da solo? Vuoi che un dentista ne sappia più di te?!”

Sia chiaro: è bello e stimolante che ogni persona esprima la propria opinione e lo faccia con tutta la convinzione e la passione che nutre… E’, comunque, un arricchimento e, tanto per sdrammatizzare, mi fa venire in mente il richiamo di quell’imbonitore da baraccone della fiera paesana che gridava: “Venghino, venghino, siore e siori! Più gente entra, più bestie si vedono!”

Amerei soltanto, qualche volta almeno, che ad alcune professionalità venisse riconosciuta pari dignità con altre… ma, questo, è un discorso che ci porterebbe molto lontano: in fondo viviamo ancora in un mondo dove un’infiammazione alla appendice è considerata una comune malattia, mentre chi soffre di stati di panico o di qualche altro disturbo della personalità è guardato con sospetto, come se la cosa fosse sintomo di una “anormalità”…

Detto questo (perché mi scappava proprio di dirlo) vediamo di esporre la mia opinione su quanto emerso a proposito dei bisogni e delle loro priorità...

Nel prossimo post, però…così evitiamo una terribile ed indigesta “mattonata”, va bene?

martedì 9 ottobre 2007

lunedì 8 ottobre 2007

SCIMMIE, PIRAMIDI E PICCIONI


Prima di vedere (in un prossimo post, temo) su stimolo di Elena, come accade che talune persone rifiutino l’immagine che “lo specchio” trasmette loro ritenendola troppo bella e preferiscano coltivare una “propriocezione” di basso profilo o, addirittura, negativa, lasciate che prenda spunto, invece, da una frase di Mat per spaziare in terreni scivolosi.
Per una volta ho deciso di bandire ogni prudenza (ed ogni modestia!) per lanciarmi a confutare un assioma che è uno dei cardini della moderna psicologia: reggetevi forte! :-)

La frase cui faccio riferimento è la seguente: “Io stesso se avessi bisogni primari da soddisfare mi nutrirei solo di disperazione e odio, altro che filosofeggiare” e la parola chiave è quel “bisogni primari”…
Il buon senso ci dice che, prima di ogni cosa, l’essere umano DEVE soddisfare quei bisogni che sono indispensabili alla sua sopravvivenza: pescando nella mia esperienza di sub, ad esempio, posso garantirvi che se durante un’immersione, mentre siete una quarantina di metri sotto il pelo dell’acqua, vi si guasta l’erogatore, è improbabile che vi mettiate a pensare a Ernst Mach ed all’empiriocriticismo! L’unica cosa che vi viene in mente è raggiungere l’aria entro un paio di minuti!
D’altra parte resterei anche piuttosto stupito se ricevessi la notizia che nei campi profughi del Burkina-Faso, in attesa che venga distribuita qualche tazza d’acqua ed un tozzo di pane, qualcuno ha organizzato un dibattito sul cinema neorealistico italiano…

Sembra tutto scontato e, per di più, c’è stato uno psicologo di fama mondiale che ha tradotto il buon senso in uno schemino ordinato e preciso.
E', questa, quella di voler definire con precisione le cose che già sono ovvie agli occhi di tutti, una caratteristica alla quale psicologi e filosofi non riescono proprio a rinunciare.
Il signore in questione si chiama Abraham Maslow ed ha disegnato quella che, appunto, si chiama “La Piramide di Maslow”: un triangolo regolare, con il vertice in alto, diviso in “gradini”. Alla base i bisogni fisiologici: respirare, bere, mangiare; un passo sopra il bisogno di sicurezza e protezione; al terzo gradino il bisogno di appartenenza, cui segue quello del bisogno di stima; al vertice della piramide il bisogno di autorealizzazione.
Ciò che Maslow dice è che ci si può occupare dei bisogni solo in quest’ordine: ovvero sentirò il bisogno di sicurezza se avrò la pancia piena, avrò necessità di sentirmi parte di un gruppo se sarò abbastanza sicuro e, facendo parte di un gruppo, avrò bisogno d’essere apprezzato da questo e infine, soddisfatto tutto ciò, potrò occuparmi della mia realizzazione e dedicarmi alla crescita personale, alla religione, alla filosofia, all’arte, a disegnare piramidi, ecc.
I gradini, secondo Maslow e secondo il buon senso, non possono essere saltati: per questo se ho fame (fame, non appetito!) mi occuperò essenzialmente di procurarmi cibo… e tutto il resto può aspettare!

Tutto logico, vero?
Se non che…

Se non che anche in questa occasione dobbiamo pagare un piccolo prezzo alla dannazione della nostra epoca: la “verticalità” della scienza, ovvero il fatto che, il più delle volte, un medico non sa nulla di psicologia, uno psicologo è digiuno di anatomia, un astrofisico non conosce l’etologia, ecc.
Se le varie branche della scienza si parlassero un po’ di più alcune cose ovvie… diverrebbero un po' meno ovvie.
Ad esempio…

Mentre Maslow disegnava la sua bella piramide colorata un gruppo di etologi conduceva un triste esperimento con un cucciolo di pochi giorni di scimmia Rhesus.
Il piccolo (il tutto è disponibile in filmati d’epoca) venne sottratto alla madre e rinchiuso in una grande gabbia con due “mamme finte”: la prima era una scimmia di peluche, la seconda solo una sagoma di fil di ferro... ma, infilato nel petto, aveva un biberon colmo di latte. Le due “mamme” erano poste abbastanza lontane l’una dall’altra, in modo da costringere il povero scimmiotto ad optare per una delle due.
I ricercatori, ovviamente, volevano vedere quale bisogno sarebbe prevalso… e, con buona pace di Maslow, il cucciolo, pur cercando di protendersi verso il biberon e piangendo per la fame, non mollò mai la presa con cui si aggrappava disperatamente alla “mamma morbida”.

Un evento molto simile, registrato per caso, è accaduto di recente: un altro scimmiotto al quale, invece, la madre era morta, rifiutava ogni forma di alimentazione artificiale e si stava lasciando morire di fame… sino a che non fu avvicinato da un piccione.
Sì, avete letto bene: un piccione gli passò accanto e lo scimmiotto si avvinse a questa cosa calda e morbida. Il piccione accettò questo strano approccio… e lo scimmiotto, a sua volta, iniziò ad accettare il latte che gli veniva offerto.

I “bisogni emozionali” dell’essere umano sono ancora più profondi e radicati di quelli delle nostre cugine pelose… ed io mi sento di affermare che, malgrado le apparenze, il bisogno di protezione, di rassicurazione, di accettazione…in altre parole il bisogno d’amore, è il gradino portante, quello sul quale si regge la piramide.

D’altra parte se così non fosse il genere umano non avrebbe mai contato tra i suoi rappresentanti persone disposte a suicidarsi per amore (o, meglio, per mancanza d’amore) e non esisterebbero fenomeni come l’anoressia dove risulta evidente che alcune gratificazioni sul piano emozionale contano più degli spasmi della fame.

La serenità, il buon vivere, consiste, probabilmente, proprio nel poter soddisfare i propri bisogni e nel farlo nel loro giusto ordine d’importanza.
Ma aria, acqua, cibo e riparo non sono la prima cosa.
Prima ancora, prima di tutto c’è… una mamma pelosa e calda alla quale aggrapparci, un piccione che tuba sommessamente mentre lo si accarezza… o, almeno, il loro corrispettivo in termini umani.

Avete il vostro piccione?

giovedì 4 ottobre 2007

Verba Volant ? Scripta Manent ?


Come spesso amo fare… seguo la corrente, ovvero traggo spunto dalle cose che dite (qualche volta anche da quelle che non dite) per suggerire nuovi percorsi di riflessione, nuovi (si fa per dire) argomenti ai quali, in questo mondo dove le cose urgenti ci fanno spesso dimenticare quelle importanti, dedicare uno spicciolo della nostra vita.

Il “post” precedente ci ha, tra l’altro, permesso di soffermarci un attimo sul valore o meno della “parola”, in particolare della parola scritta.
Lo spunto ci è stato dato dal sempre stimolante Nemesisnemo, a cui hanno fatto seguito le riflessioni di Blue, l’illustrazione del concetto di maieutica da parte di Mat, le mie modeste riflessioni, ecc.
Parlare di maieutica mi ha riportato, ovviamente, alla memoria il buon vecchio Socrate, con il quale ho qualcosa in comune: purtroppo non è la mente, ma solo il corpo, dato che, come lui, sono un tappo pelato!
Socrate non ha mai scritto una parola in vita sua.
Infatti noi, in realtà, non conosciamo affatto il suo pensiero: tutto ciò che viene attribuito al grande Ateniese gli è stato messo in bocca da altri, in particolare dal suo discepolo Platone. In altri termini noi non sappiamo cosa pensasse Socrate, ma solo ciò che Platone ci dice che lui pensasse.
Per quale ragione il nostro filosofo non affidò, come tutti gli altri Greci, le sue idee alla pergamena?
Proprio per la sua intima convinzione nella superiorità del sistema maieutico che, ricordiamolo, letteralmente significa “il metodo della levatrice” (mestiere della madre di Socrate): la levatrice non può partorire al posto della gestante, né tantomeno nascere al posto del bambino, si limita, con la sua azione, a favorire il parto…
Ma perché la parola scritta sarebbe meno adatta a produrre lo stesso risultato?
Si dice che Socrate stesso lo abbia spiegato raccontando una storiella:

Nell’antico Egitto il Dio demiurgico per eccellenza era considerato Toth: ad egli si attribuiscono l’invenzione dei numeri, della geometria, dell’astronomia, del gioco dei dadi e, soprattutto, della scrittura. Un giorno il Dio si recò dal Faraone per fargli dono delle sue invenzioni e presentò la scrittura geroglifica dichiarando che sarebbe stata una medicina miracolosa per la scienza e la memoria del popolo egiziano… al che il Faraone rispose qualcosa del genere: “Oh ingegnoso Toth! La tua invenzione otterrà esattamente l’effetto opposto! Gli uomini, infatti, fidandosi della sapienza scritta non eserciteranno più la memoria e, soprattutto, non cercheranno più la verità dentro se stessi, ma fuori di loro, in segni che altri hanno lasciato!”

Questo, dunque, pensava Socrate che, però, nella cultura greca fu un caso abbastanza isolato.

E’ però esistito un intero popolo che ha adottato tale principio: i Celti.
Sulla base degli stessi concetti i Druidi celti non affidarono agli scritti nessuna parte delle loro conoscenze: tutto andava appreso a memoria e tutto doveva essere interpretato e dedotto con la propria mente perché… nessun libro è in grado di rispondere alle obiezioni, nessun libro si evolve, anzi: la sua caratteristica (che è il suo pregio ed il suo difetto) è proprio d’essere immutabile nel tempo.

Anche nella Cina antica alcuni filosofi (ad esempio il mio amatissimo Mo-Ti), pur scrivendo ebbero cura di presentare le loro idee sotto forma di dialogo quanto più aperto possibile, a domanda e risposta, come se conducessero con un interlocutore uno scambio d’idee mirato a far giungere lui stesso alle inevitabili conclusioni, anziché propinargliele già confezionate, con una metodologia che, in Occidente, non faticheremmo a definire “socratica” o, appunto, maieutica.

Bruciamo i libri, allora? Aboliamo la parola scritta?
Per carità!
Trattiamola, invece, con rispetto, ma per quello che è o, almeno, dovrebbe essere: non depositaria di risposte, ma occasione di nuove domande.
La risposta alle quali, anche se è quasi banale dirlo, è solo e sempre dentro di noi.

Questo significa che non esiste alcuna verità al di fuori di quella individuale?
Io non credo.
Credo (con Socrate, Mo-Ti ed alcuni altri compagni di viaggio) che una verità (sul Bene e sul Male, sul Giusto e sull’Ingiusto, sull’Uomo, l’Universo e tutto quanto…) ci sia, ma sia conoscibile solo imparando a scrutare dentro di noi, dopo che ci si sia liberati dagli specchi deformanti e si sia appreso a guardare con occhi puliti.

Il Maestro non è colui che t’insegna cosa è giusto e cosa è sbagliato (come può fare un papiro o un libro): è colui che ti porta, a volte malgrado te stesso, a comprenderlo da solo.

martedì 2 ottobre 2007

QUESTA SPECIE D'AMORE


Per spiegare bene occorreranno un po’ di parole. Mettetevi comodi.

Rosina (il nome è, ovviamente, stato cambiato) arrivò da me sull’onda di una rabbia feroce che la divorava.
Dopo alcuni anni di fidanzamento aveva sposato il suo compagno (che chiameremo Renzo) e, insieme, avevano deciso di avere un figlio. Quando Rosina era incinta di sette mesi Renzo le confessò d’essersi innamorato di un’altra.
“Resto con te” – le disse – “sino a quando nasce la bambina, poi vado a vivere con lei…”

Ora cercate d’immaginarvi come Rosina abbia passato quei due mesi, sospesa tra la gioiosa attesa della nascita e l’angosciosa certezza che quel momento avrebbe anche significato la fine del suo matrimonio, lasciandola sola con una piccola creatura da allevare.

Renzo fu di parola: il giorno stesso della nascita della piccola Lucia stipò le sue cose in un paio di valigie e si trasferì a casa dell’amante.
Tuttavia, per vedere di tanto in tanto sua figlia, faceva visita a Rosina una volta alla settimana e, mentre c’era, le portava anche qualche camicia da stirare.
Rosina, nei primi tempi, accettò tutto, sperando si trattasse di una “sbandata” e che, prima o poi, lui sarebbe tornato su suoi passi. Non ci mise molto, però, a rendersi conto di quanto fosse umiliante quella situazione ed a sentirsi, come si dice a Napoli, “cornuta e mazziata”… e tutto il suo amore si mutò in odio rovente!
Così fece la cosa peggiore che potesse fare: iniziò ad usare la piccola Lucia come un’arma. Proibì a Renzo di vederla e, quando lui, ciò nonostante, si presentava alla sua porta, erano litigi furibondi, urla ed insulti.

“Ma non sono qui per me!” – mi disse seduta di fronte alla mia scrivania – “E’ per la mia bambina. Non so se senta la tensione, se le manchi il padre o cosa… ma non sorride più, è sempre triste! Cosa debbo fare?!”

Le domandai se, secondo lei, Renzo avrebbe accettato di venire a parlare con me.

“Glielo chiederò” rispose.

Il giorno stesso Renzo mi telefonò e fissammo un appuntamento. Mi ero preparato ad incontrare un cinico bastardo egoista con il pelo sullo stomaco… e mi trovai di fronte un ragazzo schiacciato dai sensi di colpa, avvilito e terribilmente confuso.

“Io lo so…” – mi disse – “d’aver fatto una cosa orribile! Ma quando ho incontrato quella donna ho capito per la prima volta cosa volesse dire amare veramente! Non so cosa darei perché fosse avvenuto prima di sposarmi o, almeno, prima che Rosina restasse incinta! Ma cosa potevo fare? Se avessi scelto di restare con Rosina amando un’altra sarebbe stato meglio? Non le avrei fatto pagare per tutta la vita il fatto d’essermi negato l’amore?”

Convinsi sia lui che Rosina a venire contemporaneamente ad uno dei miei stage, ma dissi loro che ponevo una condizione:

“Io mi considero assunto dalla vostra bambina!” – esordii – “Farò tutto ciò che riterrò meglio per lei, che è, probabilmente, l’unica vera innocente di questa storia. Se accettate ci vediamo venerdì sera… in caso contrario sbrogliatevela da soli!”

Scelsero di venire: Rosina sperava di veder massacrare il suo ex marito traditore; Renzo, in realtà, sperava d’essere massacrato per pagare in qualche modo il suo delitto e liberarsi dei sensi di colpa che gli stavano comunque rovinando la vita ed il nuovo rapporto.

Ovviamente accaddero, nei due giorni e mezzo di stage, un sacco di cose che tralasceremo, ma che furono indispensabili per preparare il “siparietto” di cui, invece, val la pena di parlare…

Era, per così dire, il turno di Renzo e, ovviamente, non feci alcuna fatica a fargli ammettere che si sentiva un emerito bastardo.
“Va bene!” – gli proposi – “Te ne vuoi andare da qui più leggero? Allora devi pagare per ciò che hai fatto. Però, siccome si tratta di qualcosa di molto pesante, anche la tua punizione lo sarà! Io, però, non posso obbligarti a fare nulla: sei tu che devi dirmi se accetti a scatola chiusa ciò che ti ho riservato…”

Ricevuto il suo assenso feci un cenno ai miei collaboratori che già sapevano, ovviamente, cosa fare: Renzo fu legato mani e piedi alla sua sedia e la sua testa fu coperta da un pesante cappuccio, mentre io spiegavo a lui ed a tutti i presenti cosa sarebbe accaduto…

“Ora sceglierò una donna perché, in assoluta e piena libertà e con la certezza di non pagarne alcuna conseguenza, dato che siete tutti testimoni che lui è consenziente, faccia quello che vuole di questo bel personaggio!”

Rosina scattò in piedi proponendosi, con una luce feroce negli occhi… ma le spiegai che non era a lei che stavo pensando… e chiamai Ester, che si avvicinò, bianca come un cencio.

“Ecco!” – le spiegai – “Ha un cappuccio perché tu non ne veda il viso. Non è più lui: è l’Uomo! E’ tutti gli uomini che ti hanno fatto del male e con cui sei in guerra da una vita! E’ tuo padre, quello che si scopava ubriaco le puttane sul sedile posteriore dell’auto mentre tu bambina sedevi su quello davanti; è il tuo primo amore che ti ha praticamente violentata e poi abbandonata perché non eri una ragazza seria; è quel bastardo che hai amato più di te stessa e che, invece, amava solo la merda che si sparava in vena e che ha portato anche te nell’inferno della droga; è quell’altro gentiluomo che ti pestava perché non volevi “essere carina” con i suoi amici… E’ tutti questi uomini… ed è impotente, legato, nelle tue mani! Puoi farne cosa vuoi e ciò che ne farai deciderà come potrai confrontarti con gli uomini per il resto della tua vita…”

…ed Ester, singhiozzando come una bambina abbandonata, si avvicinò alla sedia, sciolse le corde e lo abbracciò.

Renzo ci confessò dopo che quell’abbraccio gli aveva fatto molto, molto più male della scarica di schiaffi che si attendeva.

Poi avvennero ancora tante cose, ma ciò che conta è quello che successe una settimana dopo.
Lo stage si era svolto in Dicembre e, la settimana prima di Natale, Rosina tornò nel mio studio per farmi un piccolo-grande regalo: aveva fatto stampare da una tipografia un calendario con la foto della sua bambina e me lo donò dicendo:

“Ci tenevo che lo avessi, perché tu hai ridato il sorriso a mia figlia…”

Come tutti i calendari, ovviamente, scadeva dodici mesi dopo… ma restò per tre anni sulla parete del mio studio, prima che trovassi il coraggio di toglierlo.