domenica 25 febbraio 2007

FRAMMENTI 3


Se la storia di Martin vi ha toccati, che dire di quella di un ragazzo che chiameremo Donato?

Quando lo conobbi aveva solo 17 anni.
E voleva morire.

La storia è questa: il padre di Donato era un piccolo imprenditore edile, gran brava persona, sempre disposta a dare una mano agli altri. Tra l’altro aveva assunto per i suoi cantieri, su indicazione dei Servizi Sociali, dei ragazzi ex detenuti, ex (o quasi) tossicodipendenti, per dar loro un’opportunità, una seconda occasione.
Nessuno sa come avvenne: forse passandosi degli attrezzi ci fu un contatto sangue-sangue…sta di fatto che il padre di Donato contrasse il virus HIV. Prima di accorgersene ebbe normali rapporti sessuali non protetti con la moglie: lui era sieropositivo, lei entrò subito in AIDS conclamato.
I due genitori scelsero di non dire nulla a Donato: lui sapeva solo che la mamma non stava bene, doveva fare delle analisi, entrava ed usciva dagli ospedali e ne aveva sempre una.
Continuò, quindi, a comportarsi come un normale adolescente: ogni volta che sua madre gli parlava era come se lo salutasse per l’ultima volta, ma lui non lo sapeva…
“Mi raccomando! Non fare arrabbiare papà!” “Mamma, sei una rompiballe!”
La madre peggiorò. Un giorno, rientrando con degli amici, Donato la trovò svenuta: l’intestino s’era rilassato e sua madre giaceva a terra nei suoi escrementi.
Donato provò vergogna, pensò che fosse ubriaca e l’odiò per la figura che gli aveva fatto fare…

Poi la ricoverarono nel reparto grandi infettivi ed a Donato fu detta la verità.
Quando lo conobbi mi disse: “Glielo urlato! Le ho gridato “Mamma ti voglio bene!” …Ma c’era quel vetro del cazzo tra noi! Non credo mi abbia sentito!”

Donato aveva 17 anni, un aspetto sano, una gran zazzera di capelli rossi…e voleva morire per raggiungere sua madre e dirle che le voleva bene.
Mentre nella sala dello stage mi occupavo di un’altra persona (che aveva problemi con la madre) sentii un tonfo alle mie spalle: Donato era caduto dalla sedia e giaceva a terra, in posizione fetale, in uno stato che era simile alla catatonia.
Ebbi paura, in quel momento. Una fottuta paura, perché sapevo che la sua mente, schiacciata da sensi di colpa troppo pesanti per essere sopportati, poteva rifugiarsi in luoghi così remoti che nessuno avrebbe più potuto raggiungerla.

Dovevo fare qualcosa di estremo…e dovevo farlo in fretta.
Lo feci trasportare in una saletta laterale e chiesi di restare solo con lui. Usai tutto ciò che conoscevo per “stabilire un contatto”, per avere una ragionevole certezza che gli giungessero le mie parole: il lavoro fatto con diverse persone in coma giocava a mio favore. Mi sentiva, ne ero certo, ma non aveva nessuna intenzione di ritornare alla vita…non per se stesso, almeno.
Estrassi dalla cintura il coltellaccio “da Rambo” che avevo portato con me e gli feci sentire il freddo della lama su una guancia…
“Sai cos’è questo?” – gli chiesi – “E’ il mio coltello. Ora io vado all’altro lato della stanza e comincio a farmi dei tagli sul corpo. E non smetto sino a che tu non vieni a fermarmi!”

E lo feci.
Non potevo simulare: il suo dolore meritava rispetto e sincerità e doveva “sentire” che qualcuno era disposto a versare sangue per lui.

Non mi lasciò arrivare al terzo taglio: strisciando prima, avanzando carponi poi, mi raggiunse e mi strappò il coltello dalle mani.
Poi giacemmo insieme, piangemmo insieme e, insieme, ricominciammo il cammino verso la vita.

Ah! Se dovete dire a qualcuno “ti voglio bene”…fatelo adesso.

11 commenti:

Blue ha detto...

E' una storia bellissima!O meglio una realtà...ogni giorno che passa raccogli la mia ammirazione...
mentre leggevo sentivo scorrere esatte le sensazioni, come se fossi lì...se fossi lama e sangue...
Come può volerne una persona verso un'altra, degna di rispetto e ammirazione, per la sua nobiltà d'animo le voglio bene Maestro.
Namastè

elena ha detto...

Basta. Non commento. Mi sono stufata di scoppiare a piangere tutte le volte che leggo qualcosa scritto da te.

Equo ha detto...

Grazie, Blue: il mio Ego si sta gonfiando come un pallone :-)

In quanto ad Elena... Insomma: almeno mentre piangi per gli altri ti dimentichi per un po' di piangere su te stessa, no? Dai: diamoci da fare perché tu ritrovi le tue ali. Ho bisogno di una assistente.
A proposito: le ali non te le hanno tagliate, sono solo ingarbugliate un po'.

elena ha detto...

Giuro, non lo faccio per partito preso... ma la cosa buffa è che su di me non piango quasi mai.
Invece ultimamente, leggendo i tuoi racconti di vita vissuta, mi sembra d'essere diventata una fontana. Non so bene se piango per loro o per quanto di me ci si riconosce...
Ma l'assistente-da-assistere è pronta.

Equo ha detto...

Curatevi l'influenza, tu e Mauro. Poi vi fate una bella gita nella Contea e scambiamo quattro parole...

Anonimo ha detto...

Se qualcuno può chiamarsi terapeuta, quello puoi essere solo tu..
mauro (o quel che resta)

Equo ha detto...

Ho come l'impressione che anche tu, Mauro, non te la cavi niente male nel riportare un po' d'equilibrio nelle persone. Adesso, però, pensate a voi...io, intanto, vi mando un po' d'Energia :-))

nemo ha detto...

Che strano...
strano davvero...
lo stesso gesto...
due scopi, due significati completamente diversi...
Nei miei tagli feroci, freddi il disprezzo per il mio "interlocutore"... la paura nei suoi occhi... la sicurezza della mia follia...
E la mia piccola soddisfazione nel vederlo scappare...

Equo ha detto...

Carissimo Nemo, cinico militante di prima classe, non ti stupire. Un papavero è un papavero: puoi coglierlo per donarlo alla pesona amata o estrarne il lattice, raffinarlo e vendere morte.E un gesto è un gesto. Tuttavia, nella vita, prima o poi arriva quello che non scappa.
Ma, forse, è quello che stai cercando...

ska ha detto...

Donato potrei essere io: non voglio morire per raggiungere i miei cari, ma mi sa che i miei lutti pure sono accompagnati da sensi di colpa...è dura quando qualcuno non c'è più, se non credi che ti senta ancora.

Equo ha detto...

Un modo c'è, Skakkina. Pesante, doloroso, difficile...ma anche molto efficace e, credimi, non c'è stage in cui non debba ricorrervi per placare qualche animo ancora turbato da sensi di colpa, lutti non risolti, sindrome del sopravvissuto e quant'altro. Prima o poi avremo modo di fare qualche passo assieme sul sentiero di... Anshintai, letteralmente: Pace tra Mente e Corpo. Tieni duro.