lunedì 14 maggio 2007

AMARCORD...


Era una triste circostanza: avevo affiancato il Maestro in una semplice e commovente cerimonia mentre disperdeva tra la bianchissima ghiaia rastrellata e le rocce muschiose e corrose dal tempo del giardino di pietra di Ryoan-Ji, a Kyoto, le ceneri del corpo di un comune amico, per aderire alle sue ultime volontà.
Avevamo parlato della Morte, quella volta come in molte altre occasioni, ma da un punto di vista insolito che era stato introdotto da una mia domanda, forse sciocca…

“Sensei,” – gli avevo chiesto mentre lasciavo che il mio sguardo si perdesse tra il gioco delle immobili correnti che le pietruzze sembravano formare attorno alle antiche rupi – “tu credi che esistano un paradiso e un inferno, dopo la morte?”

“Non so…” – rispose il Maestro con un sorriso triste – “…non mi sono mai posto seriamente il problema. Però, talvolta, ho avuto pensieri strani, in merito…”

“Pensieri strani?”


“Già. Vedi, noi non sappiamo esattamente cosa accada al nostro corpo e, di conseguenza, nella nostra mente, nell’istante della morte… e nessuno di coloro che potrebbero narrarcelo è tornato dall’aldilà per riferirci qualcosa in proposito. Certamente, però, nel momento in cui le cellule del nostro cervello iniziano a morire a centinaia di migliaia mentre, magari, il cuore batte ancora e il sangue continua a scorrere, la nostra visione del mondo diviene diversa da quella che possiamo avere tu ed io in questo momento…”

"In che senso?”

“Se alteriamo le funzioni del cervello, alteriamo anche il nostro mondo soggettivo, non ti pare? È sufficiente una banale sostanza stupefacente per farci vedere cose che altri non vedono, sentire suoni che sono solo dentro di noi, nutrire pensieri che in altre circostanze ci sembrerebbero assurdi e che, invece, ci accade di trovare assolutamente coerenti con una loro logica particolare…”

“Non vedo il nesso…”

“Quali cambiamenti chimici, elettrici, si producono nel nostro corpo quando la vita lo sta abbandonando? Quali pensieri, quali sensazioni sorgono dallo spegnersi graduale o dal mutare dei sensi che ci mettono in comunicazione con ciò che è esterno a noi? Soggettivamente parlando, in quell’istante, noi non stiamo vivendo la nostra morte, ma la fine dell’intero Universo… o, meglio, ci rendiamo conto che, da un certo punto di vista, le due cose coincidono perfettamente, che noi siamo quell’universo che sta morendo…
Mi è accaduto di pensare che, forse, una delle prime cose a mutare potrebbe essere il senso del tempo che la nostra mente, in un ultimo tentativo di aggrapparsi all’esistenza che le sfugge, potrebbe dilatare, ampliare a dismisura… come accade, appunto, con l’uso di certe droghe che danneggiano le cellule cerebrali, quando un minuto diviene lungo come un’ora, un’ora sembra protrarsi per un giorno intero e un giorno può contenere tutta una vita! Se così fosse, il moribondo vivrebbe una realtà diversa da chi, ad esempio, lo stia assistendo in quei suoi ultimi momenti: le persone al capezzale del malato assisterebbero ad un’agonia di poche ore, ma per il morente quel tempo passato tra la vita e la morte sarebbe soggettivamente vicino all’eternità!
Ora: è chiaro che tutto dipende da come si vive l’istante della propria morte… Se sei in pace con te stesso, se non temi la fine della vita, se sei pronto ad accettare la sua conclusione come il coronamento di tutti i tuoi anni, felice per ciò che hai fatto, capito, donato al mondo e grato per ciò che il mondo ha donato a te sino a quel momento… allora quel tempo eterno trascorrerà sereno ed armonioso.
E questo, forse, è ciò che noi chiamiamo paradiso…

Se, al contrario, ti aggrappi alla vita perché sei insoddisfatto di come l’hai trascorsa, se dentro di te si agitano rimpianti, rimorsi, dolorosi ricordi di delusioni, di ciò che avresti dovuto fare e non hai fatto, delle persone che avresti voluto amare senza riuscirci, del male che hai fatto a te stesso ed agli altri…
Insomma: io non avrò una grande fantasia, ma non riesco ad immaginare un inferno peggiore!”

14 commenti:

nemo ha detto...

Notevole, devo dire...
anche se non nuovo nei dettagli e nella sostanza. In qualche modo rassicurante, consolatorio... immagino.
Per parte mia ho altre speranze, ma questo eterno attimo qui prospettato non è poi un'alternativa così terribile...

elena ha detto...

Equo, ho letto. Ma non esterno: lascio spazio agli altri... :)

Equo ha detto...

Mmmmm... La cosa veramente consolante sarebbe credere che:
"- La morte è soltanto un'altra via. Dovremo prenderla tutti. La grande cortina di pioggia di questo mondo si apre, e tutto si trasforma in vetro argentato...

- Beh, non è poi così male!

- No. Non lo è...

Recepita la citazione, vero? :-)

elena ha detto...

PIPINO: Non credevo sarebbe finita così.
GANDALF: Finita? No, il viaggio non finisce qui. La morte è soltanto un'altra via. Dovremo prenderla tutti. La grande cortina di pioggia di questo mondo si apre e tutto si trasforma in vetro argentato. E poi lo vedi.
PIPINO: Cosa, Gandalf? Vedi cosa?
GANDALF: Bianche sponde, e al di là di queste, un verde paesaggio sotto una lesta aurora.
PIPINO: Beh, non è così male.
GANDALF: No. No, non lo è.

Poiché siamo così bravi a crearci il nostro inferno qui e ora, perché no? :)

elena ha detto...

Maestro, perché mi istighi? Avevo detto che stavo zitta... lo sai che la carne è debole! :)

nemo ha detto...

ecco. Tutto l'opposto di quello che io troverei consolante :-)!

Equo ha detto...

Intendevo "consolante" per coloro che, temendo la Morte, sperano in un'altra vita, off course. Quale idea, in realtà, risulti consolatoria per il sottoscritto è un altro affare. Ma della "pioggia sul mare" parleremo in altra occasione. Forse.
E, a proposito, Elena: lascia che la carne sia debole... Tanto non mi sembra che ci sia quel gran affollamento, da un po' di tempo a questa parte, no?

ska ha detto...

Io sono sicura che la mia vita, indipendentemente da quanto avrò vissuto, non mi basterà...quindi spero che questa teoria non sia giusta, perché sarei destinata a vivere l'inferno...
Non vivo il pensiero della morte in modo molto sereno, ma quando guardo i vecchi, e li sento parlare di quel momento in tutta serenità, quasi aspettando una dolce amica che li vada a prendere, mi soprendo e penso che forse la percezione della morte cambia con gli anni. Ma a ben guardare queste persone sono anche quelle sorrette dalla fede. Per chi, come me, è scettico sul "dopo", ed è certo solo dell'hic et nunc, c'è solo questa vita per potere agire, amare, gioire, soffrire. Quindi spero di potere restare su questa giostra a lungo.

elena ha detto...

Non è la morte in sé che mi fa paura. Non credo di essere così determinante da fare la differenza... se non ci sono io, ci saranno altri pazzi al mio posto, a fare le mie battaglie. Ma ho una figlia, e lei ha ancora bisogno di me: diciamo che devo "rifinirla", o meglio finire di attrezzarla per il mondo... ma devo farlo qui e ora (come dice Ska) perché dalla nuvoletta - ammesso che ci creda - mi sarà difficile fare qualcosa, temo... e poi avrò ben imparato qualcosa da Durkheim! :)

elena ha detto...

Maestro, ma posto che non sappiamo quando moriremo, come possiamo non avere rimpianti e rimorsi?
Non siamo perfetti, quindi è logico che in certe situazioni avremmo potuto comportarci meglio (quantomeno diversamente) e non tutte sono recuperabili (indietro non si torna: io sono pentita dell'ignavia dimostrata in un paio di occasioni, ma a chi lo vado a dire???), poi c'è anche il fatto che, in ogni caso, avremmo potuto "fare di più"... come fai a morire contento e in pace con te stesso? Non lo potrei fare nemmeno se fossi convinta di aver fatto tutto quello che potevo... perché avrei potuto comunque fare meglio - o in modo diverso. Potrei morire contenta solo il giorno in cui il mondo fosse perfetto... forse.
Qual'è la via?

Equo ha detto...

Per quello che ne so...e che, ben inteso, vale per me, senza la pretesa di voler indivare "Vie" agli altri:
Primo: raggiungere una severa capacità d'introspezione al fine di non raccontarsi balle e non fornirsi degli alibi di comodo;
Secondo: rispetto al passato dire a se stessi "ho fatto del mio meglio con ciò che sapevo e potevo allora";
Terzo: rispetto al presente fare davvero del proprio meglio in base a ciò che siamo e sappiamo adesso, quindi imparando dagli errori del passato e trattandoli da "maestri" e non da colpe;
Quarto: rispetto al futuro...non cedere a deliri di onnipotenza..."Non tocca a noi placare tutte le tempeste del mondo", no?
Se posso onestamente dire d'aver fatto ciò che potevo, al meglio che potevo e con la tolleranza verso gli inevitabili errori del nostro essere uomini... allora posso stendere la stuoia sulla cima del colle, ascoltare il canto dell'allodola e sospirare: "Oka Hei! Oggi è un buon giorno per morire!"

Capitano ha detto...

Una canzone dei Dream Theater a un certo punto recita: "Death is not the end, but only a transition".

Ci si può credere come ci si può non credere... nel frattempo mi concentro un pò sulla vita.

Un caro abbraccio,
BUENA VIDA Y SUERTE

Equo ha detto...

Argomento intrigante, eh? Prima o poi ci facciamo una discussione semi-seria, anche se lo spazio di un blog è piuttosto castrante...
Il modo d'affrontare il tema dovrebbe piacere al Capitano: si parlerà di nuvole sul mare...

Capitano ha detto...

Il Capitano sorride e attende!

SUERTE