giovedì 15 novembre 2007

AT 2


Ovviamente, a fare da contraltare alle insicurezze dell’Io - Bambino, troviamo quello che viene chiamato IO – GENITORIALE, che, sempre nei rapporti interpersonali, si muove secondo l’atteggiamento : IO OK – TU NO OK.

Non saltate subito alle conclusioni… Se parliamo della correlazione che si svolge effettivamente tra un genitore ed un bimbo di giovanissima età si tratta di un atteggiamento non solo corretto, ma addirittura doveroso.
Io, padre o madre, sono consapevole che tu bambino non sai, ad esempio, che infilare le dita nella presa della corrente è pericoloso e, quindi, te lo devo impedire e, in genere, mi devo prendere cura di te… magari evitando l’autoritarismo, ma non rinunciando mai all’autorevolezza.

E’ altrettanto ovvio che se, al contrario, stiamo parlando di un rapporto tra adulti, l’atteggiamento diventa di arroganza, supponenza e ci troviamo di fronte ad una di quelle persone convinte d’avere sempre ragione e la verità in tasca.

Occorre subito, però, fare alcune precisazioni…

La prima è che non necessariamente un individuo del genere è “genitoriale” a tempo pieno: può accadere (e succede con frequenza indesiderabile) che sia dispotico con il partner e remissivo (bambino) con il capo-ufficio… o, al contrario, che si comporti come un dittatore sul lavoro e si lasci umiliare nei rapporti personali.
E’ piuttosto comune, infatti, che le frustrazioni subite in quegli ambiti dove siamo costretti al ruolo di “bambino” si sfoghino all'interno dei rapporti nei quali, invece, possiamo prevalere!

Uno degli esempi più belli compare nel film “The Wall”, dei Pink Floid, dove l’insegnante martirizzato da una moglie virago si rifà sugli alunni con perfetto sadismo…

La seconda considerazione è ancora più importante ed introduce una riflessione che riprenderemo inevitabilmente più avanti : molto, molto spesso il ruolo di chi interagisce con noi condiziona e decide quello che noi stessi saremo chiamati ad interpretare…

In altri termini: se mi trovo a convivere con un partner con atteggiamenti sottomessi sarà gioco forza interpretare la parte del genitore (talvolta malgrado ciò che vorremmo), mentre se è la mia compagna od il mio compagno a presentarsi genitorialmente, mi vedrò relegato al ruolo di bambino o, quanto meno, mi sentirò considerato come tale.

In una certa misura, quindi, gli atteggiamenti altrui "definiscono" i nostri e viceversa ed in questa “transazione emozionale” è spesso difficile trovare il giusto equilibrio… tant’è, infatti, che frequentemente questo sottile conflitto spinge entrambi in un’altra e diversa condizione... quella di cui parleremo nella quarta tappa del nostro piccolo percorso e che è sicuramente la più intrigante…

Prima, però, nella prossima puntata, proveremo ad esaminare… quale dovrebbe essere il giusto atteggiamento, anche se, ovviamente, l’avete già compreso tutti… in teoria. :-)

22 commenti:

elena ha detto...

Il nonno! Che riunisce in sé i ricordi del bambino (chissà perché le persone anziane ricordano spesso benissimo cose molto antiche e non altrettanto quelle più recenti: memoria selettiva?) e l'autorevolezza/esperienza adulta. Senza il "peso" di dover fare da esempio. Oppure la zia. Che non ha un ruolo genitoriale e può permettersi di essere complice.
Nonostante le apparenze, non sto scherzando completamente. Ammetto il tentativo di sdrammatizzare (forse perché da un lato mi sento tropo coinvolta e dall'altro trascurata?), anche perché stamattina mi sono svegliata in preda al delirio di onnipotenza.
Equo... Edgar è meglio di me. Almeno lui dice che ci sarebbe molto da dire e sta zitto, io invece scrivo un sacco e non si capisce niente... Ma insomma, 'sto corso quando parte??? :)

Equo ha detto...

* Elena:già... Solo che il problema non è come la zia si comporta con il nipote...ma con suo marito, ad esempio... Trascurata tu? Mmmmm: so che queste cose hanno per te un sapore di "deja vu" ,se non altro perché hai letto il mio libro :)), ma devi aver pazienza e credo che, tra breve, potrai trovare qualche stimolo di riflessione ulteriore.
Quando parte il corso? Vorrei tanto saperlo! Come ho già spiegato il mio trasferimento nelle sperdute langhe della Contea ha virtualmente distrutto la mia vecchia organizzazione. Trasformatevi voi in miei "agenti" sul territorio, mettiamo insieme 10 persone disposte a fare questa intensa esperienza... e se ne riparla, ok?

nemo ha detto...

Devo ammettere che dalle premesse non mi sembra che emerga un atteggiamento potenzialmente corretto... almeno, non per me. Mi pare che i rapporti con gli altri siano inevitabilmente fonte di conflitti (non sempre, ma spesso) e non mi sembra che uno schema concettuale in cui inquadrare i comportamenti (bambino, genitore, nonno, dominante, dominato, soggetto alfa, eccetera eccetera eccetera) possa in qualche modo aiutare.
Mi sembra come cercare una "regola aurea" e sappiamo già che non esistono. Trovo davvero poco chiaro poi il modo in cui gli atteggiamenti altrui dovrebbero condizionare i nostri... è ovvio che se ricosco un atteggiamento arrogante e mi rifiuto di assecondarlo questo scatenerà un conflitto o una forma di chiusura... ma mi par sempre meglio che inquadrarmi in ruolo necessariamente subalterno, solo per instaurare una forma di pseudocomunicazione.
Mah, di che diavolo sto parlando???

Anonimo ha detto...

Non è facile uscire da certe dinamiche, un po' perchè ti ci costringe il sistema di relazioni nel quale sei immerso, un po' perché costa una fatica boia. Fatica a uscire dalla propria zona confortevole, dove posso "prevedere" quello che succede, anche se non mi piace. Insomma, a volte sembra preferibile sapere che una cosa ci farà soffrire e attrezzarci a sopportarlo, piuttosto che cambiare atteggiamento e non sapere cosa succederà, anche se questo potrebbe migliorare drasticamente la nostra condizione. Di fronte a questa grande fatica l'unica risposta funzionale che ho trovato fino ad ora (e sono bel lontano dall'essere quieto e soddisfatto da questa, ma almeno intanto "vivo") è che vale la pena sobbarcarsi quella fatica se è moralmente giusto cambiare una situazione. Cioè se agire, rischiare, uscire, provare, genera qualcosa di potenzialmente bello e buono che cambia - seppure di poco, pochissimo - in meglio il mondo attorno a me. Forse. Ma forse sono un po' fuori tema...

nemo ha detto...

Non mi sembra fuori tema, anzi..

Anonimo ha detto...

Ciao Gawain! Non pensavo passassi da queste parti! Per rispondere a NemesisNemo (e anche a te e agli altri), almeno per come la penso io, non si tratta affatto di accettare una situazione che non ci sta bene o di affrontare per forza di cosa un conflitto. Come diceva il buon vecchio Obi-Wan Kenobi, "Non puoi vincere, ma ci sono delle alternative al battersi". Ci sono alternative anche a queste due strade apparentemente difficili e conflittuali, ad esempio rompere completamente la dinamica e uscirne senza lasciare alla controparte un "attore" con cui dialogare nello stesso ruolo. Non esistono "regole auree" generiche e generali, né panacee per tutti i mali, questo è vero, ma è anche vero che ci sono sempre soluzioni e alternative, e che alcune linee di condotta sono più proficue e positive di altre.

Equo ha detto...

E' un piacere scoprire che Gawain transita per codesti lochi :-). Concordo (che novità!) con l'Abietto e credo che il prossimo post argomenterà meglio. In un qualsivoglia rapporto non esiste necessariamente "conflitto", ma è sempre presente "la transazione", in quanto, come ben sapete, NON E' POSSIBILE NON COMUNICARE! Anche un silenzio è una forma di comunicazione... al limite persino un'assenza lo è. Non potendo non comunicare possiamo però scegliere come farlo... Il conflitto (od il confronto, il tentativo di "costringere" l'altro in un ruolo) è un modo, ma, ovviamente, ci sono alternative...migliori e peggiori. Parleremo di entrambe... e, poi, finalmente, parleremo anche di ciò che m'interessa veramente :-))

Equo ha detto...

PS: questo è un "luogo" dov'è difficilissimo "andare fuori tema": il tema, inaffti, al di là dei miei spunti, è un prodotto collettivo che nasce dal confronto d'idee e che può diramarsi in molte direzioni... Un po' come una varco aperto nella jungla con un machete: la strada esiste solo dietro di noi... quella che ci attende nasce passo dopo passo, colpo dopo colpo... o commento dopo commento. :-)

Anonimo ha detto...

Ultimamente ho provato a seguire il consiglio di un'amica:" Spostarsi dal conflitto ",che non significa scappare,ma solo distaccarsi emotivamente dal conflitto per ridare spazio alla comprensione e di conseguenza al presente.Infatti secondo me racchiudere i comportamenti in uno schema, non è del tutto inutile se ti da la possibilità di richiamare più in fretta alla memoria la motivazione di un atteggiamento.Se durante una discussione s'innesca la dinamica genitore bambino,sapere razionalmente che quegli atteggiamenti non hanno nulla a che vedere con la situazione presente ,ma che sono il risultato di irrisolti che si innescano a vicenda portando la comunicazione in una dinamica del passato,aiuta a capire che in realtà,il conflitto in se non esiste affatto ,che non si sta combattendo uno contro l'altro , ma con mostri molto più grandi. Facile a dirsi...Bacio Fabrizia

Neo ha detto...

Io ok - tu ok?
...

Grazie a te

Namasté
ire

Anonimo ha detto...

bè, non è molto che ho scoperto l'arpa e la spada. Prima mi sono rimesso in pari (più o meno, da bravo soldatino che sono), poi, appena me la sono sentita, sono intervenuto :-)
Grazie del benvenuto. Questo argomento mi interessa moltissimo. Anche il punto dell'Abietto riguardo al sottrrarsi alle dinamiche precostituite su cui ricordo lunghe chiacchiwerate in anni passati (pista A o pista B? scelgo il fuoripista!). Col senno di poi devo molta della flessibilità e della (limitata) capacità di pensiero laterale a quelle chiacchierate, in quei tempi per cui provo molta nostalgia. Venendo al tema: "alcune linee di condotta sono più proficue e positive di altre". Positive a favore di che cosa? Dei nostri scopi? Ma allora bisogna sapere cosa vogliamo. Parte del problema è li, credo.

Equo ha detto...

Certo, Gawain... Ma, per il momento almeno, il problema di chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo e cosa vogliamo... lo lasciamo in disparte (anche se, ovviamente, tu sai la risposta... ed è 42!):-) Più modestamente, in questo contesto, il risultato "più positivo" che si vuol raggiungere è una comunicazione più efficace e produttiva, sganciata dai condizionamenti che ci "impongono" reazioni coatte e, spesso, deleterie...
Ho un paio di giorni convulsi di fronte a me... poi torno, eh?!

Francesco Candeliere ha detto...

Sempre unici ed originali i tuoi post....!!!
Conosco poco la AT e da quello che conosco mi sembra dia tanto spazio ai fenomeni di apprendimento sociale e poco spazio ad altri elementi che caratterizzano il soggetto.
Comunque molto interessante approfondirla e saperne di più.
Complimenti equo.

Equo ha detto...

Grazie, Francesco. Come ogni metodologia l'AT è solo uno strumento, utile da usare...senza trasformarlo in dogma o addirittura pretendere che spieghi l'essere umano. Questa è la ragione per la quale la MIA metodologia è sempre stata fortemente interdisciplinare, producendo anche accostamenti ed incroci...improbabili :-)
D'altra parte cosa ci si può aspettare da uno sciamano druido-zen, monaco marxista della corrente Groucho? :-))

Anonimo ha detto...

42! Ma certo! ora so! Difenterò patrone ti monto bwhahahahah!
Uh, ok, ricevuto.
Sto sintonizzato.

elena ha detto...

Ammetto: sono in ritardo stramarcio e quindi fuori tema. Ma una rispostina te la devo, Equo... in realtà il "coinvolta e trascurata" era riferito ad una situazione personale esterna... qualcosa che VOGLIO fare ma che non riesco, più o meno.
E comunque, come moglie mi comporto malissimo. Infatti sono una ex! Ti fidi o vuoi sentire l'altra campana? :)
Namasté.
PS: a volte, Nemesisnemo, concettualizzare i "tipi comportamentali" serve non tanto a riproporli, quanto a superarli e/o evitarli... almeno, questo è quello che io ho interpretato.

nemo ha detto...

si forse.
Ma temo di condividere l'opinione secondo cui i "tipi comportamentali" sono luoghi comuni...

Anonimo ha detto...

Luoghi comuni sono anche l'amore..La felicità ...la tristezza ...il dolore..ma non sembran proprio passar di moda (per fortuna).A volte sono proprio i luoghi comuni che aiutano ad accettarsi e di conseguenza comprendere gli altri. Continuando a dare voce al giudizio, a reputare il proprio stato d'animo "diverso",non si fà altro che allontanarsi dal mondo della comprensione e della comunicazione, isolandosi in un universo parallelo ,dove nessuno puo raggiungerci.Nemmeno la verità. baci Fabrizia

Anonimo ha detto...

"Luoghi comuni" non è sinonimo di "falsità". Anzi, certe cose, talvolta, sono così "comuni" proprio perché hanno un radicato e profondo fondamento nella realtà oggettiva. Inoltre, categorizzare i "tipi comportamentali" secondo una linea di osservazione predefinita e dichiarata (ad esempio, "dal punto di vista dell'Analisi Transazionale, gli esseri umani a seconda della situazione, del momento e della transazione in corso si catalogano in quattro classi generali divise a loro volta in svariate sottoclassi particolari") non è certo come dire frasi del tipo "tutte le donne sono... sportive", "gli afroamericani hanno il ritmo nel sangue" o "al nord lavorano e al sud mangiano"... E non volerlo riconoscere, a mio modesto parere, è molto più superficiale dell'intento dello studio stesso. Comunque, a ognuno la realtà che crede e che preferisce.

Anonimo ha detto...

Ero io, qui sopra. Non so perché non ha preso l'identità. Sorry e saluti.

Equo ha detto...

Comprendo le perplessità di Nemesisnemo, essendo anch'io un feroce oppositore di qualsivoglia metodo tassonomico, ovvero del tentativo di inquadrare la realtà in caselle predefinite. Qualsiasi realtà (a maggior ragione quella complessa della mente umana) non è "fotografabile", essendo costantemente in movimento,ed ogni pretesa forma di "classificazione" deve solo e sempre (come già mi è capitato di dire) essere considerata un utile strumento capace di una qualche approssimazione e non certo come una verità rivelata. D'altra parte questo vale per la maggior parte dello scibile umano, comprese le cosiddette "scienze esatte". Non è neppure giusto, tuttavia, ignorare secoli di ricerche e scoperte: il martello è eccellente per piantare dei chiodi ed io lo uso anche se è virtualmente inutile al fine di avvitare bulloni. L'importante è non edificare altari per il martello o la chiave inglese... o non buttarli via perché non sono utili a tutto.

elena ha detto...

Secondo me il luogo comune è... "neutro". Come tutto, bisogna vedere poi che uso se ne fa. Se ce ne serviamo per dire - come ha notato Abietto - che "gli uomini son mascalzoni" (e a giudicare dal bollettino di guerra delle violenze sulle donne a volte...) sono inutili e dannosi. Ma se, in una determinata situazione, uno prima di reagire "come da copione" pensa che il condizionamento pavloviano è in agguato (a stimolo corrisponde reazione, che a me ricorda la fisica e forse è per questo che non lo sopportavo... Pavlov, ma anche la fisica) e pensa se e come può reagire diversamente, ecco che il luogo comune può evitare errori... e detto da me, che non penso mai prima... :)