giovedì 4 ottobre 2007
Verba Volant ? Scripta Manent ?
Come spesso amo fare… seguo la corrente, ovvero traggo spunto dalle cose che dite (qualche volta anche da quelle che non dite) per suggerire nuovi percorsi di riflessione, nuovi (si fa per dire) argomenti ai quali, in questo mondo dove le cose urgenti ci fanno spesso dimenticare quelle importanti, dedicare uno spicciolo della nostra vita.
Il “post” precedente ci ha, tra l’altro, permesso di soffermarci un attimo sul valore o meno della “parola”, in particolare della parola scritta.
Lo spunto ci è stato dato dal sempre stimolante Nemesisnemo, a cui hanno fatto seguito le riflessioni di Blue, l’illustrazione del concetto di maieutica da parte di Mat, le mie modeste riflessioni, ecc.
Parlare di maieutica mi ha riportato, ovviamente, alla memoria il buon vecchio Socrate, con il quale ho qualcosa in comune: purtroppo non è la mente, ma solo il corpo, dato che, come lui, sono un tappo pelato!
Socrate non ha mai scritto una parola in vita sua.
Infatti noi, in realtà, non conosciamo affatto il suo pensiero: tutto ciò che viene attribuito al grande Ateniese gli è stato messo in bocca da altri, in particolare dal suo discepolo Platone. In altri termini noi non sappiamo cosa pensasse Socrate, ma solo ciò che Platone ci dice che lui pensasse.
Per quale ragione il nostro filosofo non affidò, come tutti gli altri Greci, le sue idee alla pergamena?
Proprio per la sua intima convinzione nella superiorità del sistema maieutico che, ricordiamolo, letteralmente significa “il metodo della levatrice” (mestiere della madre di Socrate): la levatrice non può partorire al posto della gestante, né tantomeno nascere al posto del bambino, si limita, con la sua azione, a favorire il parto…
Ma perché la parola scritta sarebbe meno adatta a produrre lo stesso risultato?
Si dice che Socrate stesso lo abbia spiegato raccontando una storiella:
Nell’antico Egitto il Dio demiurgico per eccellenza era considerato Toth: ad egli si attribuiscono l’invenzione dei numeri, della geometria, dell’astronomia, del gioco dei dadi e, soprattutto, della scrittura. Un giorno il Dio si recò dal Faraone per fargli dono delle sue invenzioni e presentò la scrittura geroglifica dichiarando che sarebbe stata una medicina miracolosa per la scienza e la memoria del popolo egiziano… al che il Faraone rispose qualcosa del genere: “Oh ingegnoso Toth! La tua invenzione otterrà esattamente l’effetto opposto! Gli uomini, infatti, fidandosi della sapienza scritta non eserciteranno più la memoria e, soprattutto, non cercheranno più la verità dentro se stessi, ma fuori di loro, in segni che altri hanno lasciato!”
Questo, dunque, pensava Socrate che, però, nella cultura greca fu un caso abbastanza isolato.
E’ però esistito un intero popolo che ha adottato tale principio: i Celti.
Sulla base degli stessi concetti i Druidi celti non affidarono agli scritti nessuna parte delle loro conoscenze: tutto andava appreso a memoria e tutto doveva essere interpretato e dedotto con la propria mente perché… nessun libro è in grado di rispondere alle obiezioni, nessun libro si evolve, anzi: la sua caratteristica (che è il suo pregio ed il suo difetto) è proprio d’essere immutabile nel tempo.
Anche nella Cina antica alcuni filosofi (ad esempio il mio amatissimo Mo-Ti), pur scrivendo ebbero cura di presentare le loro idee sotto forma di dialogo quanto più aperto possibile, a domanda e risposta, come se conducessero con un interlocutore uno scambio d’idee mirato a far giungere lui stesso alle inevitabili conclusioni, anziché propinargliele già confezionate, con una metodologia che, in Occidente, non faticheremmo a definire “socratica” o, appunto, maieutica.
Bruciamo i libri, allora? Aboliamo la parola scritta?
Per carità!
Trattiamola, invece, con rispetto, ma per quello che è o, almeno, dovrebbe essere: non depositaria di risposte, ma occasione di nuove domande.
La risposta alle quali, anche se è quasi banale dirlo, è solo e sempre dentro di noi.
Questo significa che non esiste alcuna verità al di fuori di quella individuale?
Io non credo.
Credo (con Socrate, Mo-Ti ed alcuni altri compagni di viaggio) che una verità (sul Bene e sul Male, sul Giusto e sull’Ingiusto, sull’Uomo, l’Universo e tutto quanto…) ci sia, ma sia conoscibile solo imparando a scrutare dentro di noi, dopo che ci si sia liberati dagli specchi deformanti e si sia appreso a guardare con occhi puliti.
Il Maestro non è colui che t’insegna cosa è giusto e cosa è sbagliato (come può fare un papiro o un libro): è colui che ti porta, a volte malgrado te stesso, a comprenderlo da solo.
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12 commenti:
D'accordo. Il Maestro è lo specchio, in cui tu devi "solo" fare la fatica di guardarti senza preconcetti e senza veli.
Che già non è proprio pochino...
Diciamo che normalmente uno/a si guarda partendo dal presupposto di vedere la perfezione e, a volte, vede qualcos'altro... sempre posto che abbia davvero voglia di vedere. Ma non cavillo...
Si dà però anche un altro caso (senza considerare quelli che vdono quello che pensano di vedere, che sono cioè abbastanza illuminati per conoscersi davvero): se una si guarda convinta di essere una carogna e lo specchio le rimanda una bella immagine, cosa si fa? Ovvio che sto parlando di me... che non ho mai fatto mistero di considerare l'egoismo come mio motore personale (ma qui c'è tutto un discorso interpretativo che ho in comune con Kropotkin, ma non lo sapevo). Quindi?
Poi, certo. Fatti, non parole. Esempi. Non soluzioni pronte ma "instradamenti".
Però... anche se mia figlia mi ripete cinquanta volte al giorno che mi vuole bene, vederlo scritto... mi fa bene. Non c'entra nulla? Massì... giusto un pochino: solo per dire che ci sono parole e... PAROLE.
Namasté.
Ultima considerazione banale: lo scritto ha cominciato ad avere un valore "essenziale" (a mio avviso) quando la parola ha perso aderenza con la realtà. Quando bastava dire "farò questa cosa" ed era una specie di patto vincolante, non aveva nessuna importanza che qualcuno si occupasse di registrarlo per riportare alla memoria di menti pigre le promesse... adesso invece, non bastano 280 pagine perché ne venga mantenuta una...
Ma che vi aspettavate da me??? :)
Concordo con la conclusione di Equuo, teniamoci con amore e cura gli scritti e traiamoneme gli spunti per ulteriori riflessioni, dacchè la verità è una chimera e cambia continuamente a uso e consumo del soggetto che la persegue.
E' un fatto che l'IO è il risultato di conoscenza ed esperienza personale ed entrambe le cose ci sono trasmesse dalla famiglia e società di appartenenza. Significa che siamo plagiati? In parte si e ciò conta molto.
In ogni caso non esiste mai una sola verità e soprattutto non esiste una verità che vada bene per tutti.
Io stesso se avessi bisogni primari da soddisfare mi nutrirei solo di disperazione e odio, altro che filosofeggiare.
Alla fine anche il buon senso è appannaggio di chi se lo può permettere.
confrontiamoci pure, Equo, leggiamo anche, ma con umiltà, consapevoli che un Uomo può nutrire lo spirito solo dopo che ha nutrito il corpo.
By Mat
Equo, non è facile dirlo ma è altrettanto importante non tacerlo:
L'emozione e la gioia che ho provato leggendo il tuo post, nascono dalla piena concordia che personalmente riscontro in merito.
E' anche per queste considerazioni che mi batto nel "mondo" della religione. Ecco perchè
...E vàbbè... mo và tutto a puttane! Ho appena chiuso il cell con un cliente che mi chiamava insistentemente per ragioni di natura prettamente economico-affaristica... di domenica poi!
Ho perso la concentrazione e l'"anima" con cui stavo scrivendo.
Ciao :(
Mmmmm.... solo due commenti, ma talmente ricchi entrambi di spunti che... non commenterò a mia volta: probabilmente mi avvarrò del privilegio del padrone di casa e confezionerò un nuovo post. Ho in mente di parlare di Maslow, di scimmie e piccioni e di varia umanità... Magari un post solo non basterà (e scusate la rima involontaria...
Restando in tema socratico, cito il mito della caverna.
La metafora del racconto non porta ad una sola conclusione, perchè io ne trovo 4:
1) colui che esce dalla caverna acquisisce una conoscenza reale e scopre la verità
2) chi resta nella caverna crede di conoscere la verità
3) il lettore legge e sorride pensando che lui, ultima catena evolutiva, conosce la verità
4) il buco del culo (metafora anche questa), che legge e indispettito dall'indifferenza della mente (anima), sciopera offuscando la "verità"
:-)))
by Mat
Grazie per il "sempre stimolante"...
è una cosa che mi lusinga... e mi porta a tradire i miei propositi di silenzio ;-)
Detto fatto...
;-)
Quando Nemesisnemo abbandonerà la posizione filosofica Nihilista e metterà la sua vivace intelligenza ed il suo raffinato senso dell'umorismo a disposizione di noi poveri mortali ne saremo tutti arricchiti. E, tanto per non essere frainteso, non lo sto prendendo per i fondelli, ma lo penso veramente!
OK: sto preparando il post annunciato... sono a pagina 460, circa :-(
Ah si? Tu parli già di nuovo post Equo?
Allora io ti ri-posto queste ricchissime parole, dove ogni volta che vengono rilette producono una serie di ampie riflessioni, dalla quale si possono stralciare infinite questioni e infiniti post, peccato che non siano stati "ampliati":
...
"Proprio per la sua intima convinzione nella superiorità del sistema maieutico che, ricordiamolo, letteralmente significa “il metodo della levatrice” (mestiere della madre di Socrate): la levatrice non può partorire al posto della gestante, né tantomeno nascere al posto del bambino, si limita, con la sua azione, a favorire il parto…
Ma perché la parola scritta sarebbe meno adatta a produrre lo stesso risultato?
Si dice che Socrate stesso lo abbia spiegato raccontando una storiella:
Nell’antico Egitto il Dio demiurgico per eccellenza era considerato Toth: ad egli si attribuiscono l’invenzione dei numeri, della geometria, dell’astronomia, del gioco dei dadi e, soprattutto, della scrittura. Un giorno il Dio si recò dal Faraone per fargli dono delle sue invenzioni e presentò la scrittura geroglifica dichiarando che sarebbe stata una medicina miracolosa per la scienza e la memoria del popolo egiziano… al che il Faraone rispose qualcosa del genere: “Oh ingegnoso Toth! La tua invenzione otterrà esattamente l’effetto opposto! Gli uomini, infatti, fidandosi della sapienza scritta non eserciteranno più la memoria e, soprattutto, non cercheranno più la verità dentro se stessi, ma fuori di loro, in segni che altri hanno lasciato!”
Questo, dunque, pensava Socrate che, però, nella cultura greca fu un caso abbastanza isolato.
E’ però esistito un intero popolo che ha adottato tale principio: i Celti.
Sulla base degli stessi concetti i Druidi celti non affidarono agli scritti nessuna parte delle loro conoscenze: tutto andava appreso a memoria e tutto doveva essere interpretato e dedotto con la propria mente perché… nessun libro è in grado di rispondere alle obiezioni, nessun libro si evolve, anzi: la sua caratteristica (che è il suo pregio ed il suo difetto) è proprio d’essere immutabile nel tempo.
Anche nella Cina antica alcuni filosofi (ad esempio il mio amatissimo Mo-Ti), pur scrivendo ebbero cura di presentare le loro idee sotto forma di dialogo quanto più aperto possibile, a domanda e risposta, come se conducessero con un interlocutore uno scambio d’idee mirato a far giungere lui stesso alle inevitabili conclusioni, anziché propinargliele già confezionate, con una metodologia che, in Occidente, non faticheremmo a definire “socratica” o, appunto, maieutica.
Bruciamo i libri, allora? Aboliamo la parola scritta?
Per carità!
Trattiamola, invece, con rispetto, ma per quello che è o, almeno, dovrebbe essere: non depositaria di risposte, ma occasione di nuove domande.
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Questo significa che non esiste alcuna verità al di fuori di quella individuale?
Io non credo.
Credo (con Socrate, Mo-Ti ed alcuni altri compagni di viaggio) che una verità (sul Bene e sul Male, sul Giusto e sull’Ingiusto, sull’Uomo, l’Universo e tutto quanto…) ci sia, ma sia conoscibile solo imparando a scrutare dentro di noi, dopo che ci si sia liberati dagli specchi deformanti e si sia appreso a guardare con occhi puliti.
Il Maestro non è colui che t’insegna cosa è giusto e cosa è sbagliato (come può fare un papiro o un libro): è colui che ti porta, a volte malgrado te stesso, a comprenderlo da solo."
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