giovedì 31 maggio 2007

SALVIAMO BLOG


Sarà l’estate?
Pochissimi, ormai, lasciano traccia del loro passaggio (se passaggio c’è) tra l’arpa e la spada della vecchia Brigadoon.
Credo, pertanto, sia tempo d’andare in vacanza: anche in TV lanciano le trasmissioni estive e le vecchie serie salutano e danno appuntamento a settembre…
Per cui, in questo lasso di tempo, apparirò sporadicamente, a tradimento, con argomenti da stagione calda…ad esempio l’abbandono dei cani.

Allora, popolo di bloggers: vogliamo provare a dimostrare che questa comunità virtuale può intervenire nella realtà ordinaria?

La dolcissima cuccioletta dell’immagine è stata abbandonata con fratellini e sorelline (come migliaia di cani e gatti) e, prima di finire in un canile, ha bisogno urgente di braccia che l’adottino, di una famiglia, di ricevere un po’ di quell’amore che lei sarà in grado di dare in modo incondizionato a chi l’accoglierà nella sua vita.

Chi lo vuole riprenda questo post, lo ripubblichi, lo comunichi come meglio crede: regaliamo a Blog (potremmo chiamarla così) un futuro.

Se poi qualcuno “all’ascolto” ha direttamente la possibilità di arricchire infinitamente la propria vita grazie all’arrivo di questo batuffolo affettuoso, può rivolgersi direttamente a me o scrivere a erika.scala@bambiniinemergenza.org , indirizzo che corrisponde ad una delle meravigliose volontarie alla cui abnegazione devo l’incontro con Ambra, il nuovo membro della mia famiglia.

Cerchiamo persone serie e motivate, disponibili a firmare il modulo d’adozione ed a sottoporsi a controlli sullo stato della cucciola, ovviamente. In compenso la piccolina verrà consegnata sverminata, vaccinata, controllata dal punto di vista veterinario, sterilizzata, microchippata e tatuata e, visto che si trova dalle parti di Roma, le volontarie sono anche disposte a recapitarvela direttamente a casa, senza spese da parte vostra.
Decidere di accogliere Ambra nella vita della mia compagna, mia e della nostra gatta è stato il più bel regalo che ci siamo mai fatti.
Fatevi anche voi un regalo che, a differenza dei diamanti, è davvero per sempre.
O, se proprio non potete, passate voce… sarebbe bello poter dire che, tutti insieme, abbiamo salvato una vita, non credete?

giovedì 24 maggio 2007

LIPRANDO ON THE ROAD


Landolfo, cronista del Millecento, ci ha tramandato le "Storie del Comune di Milano" fra cui questa del giudizio di Dio, protagonista prete Liprando. Noi abbiamo cercato di musicarla con un certo impegno, e la dedichiamo a tutti quelli - e sono tanti - che pur essendo testimoni di fatti importantissimi e determinanti dell'avvenire della civiltà, neanche se ne accorgono!

Così, Enzo Jannacci inizia la sua canzone dedicata alla pirobazia (camminata sulle braci ardenti) di prete Liprando, avvenuta il 25 marzo del 1103 in piazza del Duomo, a Milano.

E’ una condizione, quella di attraversare del tutto inconsapevoli i grandi momenti storici o, addirittura, dell’evoluzione del genere umano, che mi ha sempre sbigottito ed affascinato allo stesso tempo.
Naturalmente è perfettamente comprensibile come un servo della gleba medioevale non disponesse delle informazioni, della cultura, della conoscenza necessarie a comprendere cosa accadeva veramente nello scontro tra Liprando e l’arcivescovo Grossolano (si chiamava proprio così) e finisse, di conseguenza, per “venire da Como per niente”, (“ …io non vedo niente! Non vedo un accidente: sono venuto da Como per niente!”) senza neanche riuscire a scorgere il momento culminante della rovente prova alla quale Liprando si sottopone per dimostrare che Grossolano è un mentitore che trasforma in mercato le cose sacre (“sei falso e simoniaco, gli disse, venduto all’imperatore, quel porco…”).

Nella nostra era la stessa inconsapevolezza drammatica nasce dalla ragione opposta: siamo subissati da informazioni, abbacinati da notizie, bombardati da cognizioni di ogni genere e, nel gran marasma delle cose futili, dei dati inutili, delle conoscenze superficiali ed effimere tutto si confonde, si amalgama, perde importanza… e non riusciamo più a distinguere “i fatti determinanti per l’avvenire della civiltà” dagli ultimi pettegolezzi sui partecipanti al “reality” del momento, dall’agitarsi scomposto della politica spicciola, dalle indiscrezioni sul calcio-mercato…

Continuiamo, quindi, in una sorta di “difesa cerebrale” dai troppi stimoli, a condurre la nostra normale vita, senza riflettere sulle implicazioni di alcune profonde trasformazioni che stanno avvenendo nel mondo e nel nostro modo di concepirlo e senza che esse si riflettano (il doppio senso è voluto) sulla nostra vita quotidiana.
Le “trasformazioni” sono lì, alla portata di tutti. Talvolta non le vediamo pur guardandole; più spesso, pur vedendole, non ne traiamo alcuna conseguenza.

La “teoria dei Campi Comunicanti” (e la fisica quantistica, la teoria del caos, la geometria frattale, ecc.) ci parlano di un “Grande Spirito” (passatemi il termine provocatorio) che collega l’esistente e stabilisce insospettabili rapporti dialettici tra ogni avvenimento; da vent’anni (dall’ottobre del 1997) il gruppo Mind and Life, che riunisce alcuni tra i più accreditati ricercatori nel campo della medicina, della psicologia, della psichiatria, della neurofisiologia ecc. sta dimostrando senza ombra di dubbio una cosa sconvolgente come la “plasticità del cervello”, ovvero il fatto che alcune emozioni hanno il potere d’indurre trasformazioni fisiche concrete nel nostro apparato cerebrale e, di conseguenza, modificare profondamente la nostra personalità e la nostra stessa vita…
E, come pare essere regola umana imprescindibile, noi continuiamo a dare la precedenza alle “cose urgenti” ignorando quelle “importanti”.

Mi viene alla mente la frase significativa di un vecchio film “on the road” americano (forse Fandango?): un gruppo di giovani sta scorrazzando su una vecchia decappottabile, pigiando sull’acceleratore e tracannando birra.
Ad un certo punto uno dei passeggeri, gridando per farsi sentire tra il rombo del motore ed il sibilo del vento, domanda: “Ma dov’è che stiamo andando?”
Al che il guidatore risponde: “Non lo so! Ma, per dio quanto ci andiamo veloci!”

Forse dovremmo fermarci alla prima piazzola e domandarci dove vogliamo andare…

lunedì 21 maggio 2007

POTETE SENTIRLO...


Negli anni ‘60/’70 dell’ormai scorso secolo alcuni sperimentatori vollero dimostrare la capacità di ricezione degli stimoli esterni da parte dei vegetali che, pure, non dispongono di organi di senso preposti specificamente alla percezione di tali dati, né di un sistema nervoso organizzato capace di trasmetterli ad uno strumento decodificatore come il nostro cervello.
Applicarono, quindi, una serie di elettrodi capaci di misurare le minime variazioni di attività elettrica (collegati a una macchina che trasformava tale attività in un grafico) ad alcune piantine, sottoponendole poi a tutta una serie di “torture”.
Nessuno si stupì troppo notando che le piante dimostravano di reagire quando si tagliava o bruciava loro una foglia o un ramo: in fondo un essere vivente in grado di percepire la luce del sole o il cadere della pioggia deve pur avere un suo qualche collegamento con l’esterno!
La sorpresa era in agguato in un campo che, come spesso avviene, fu toccato per puro caso… Lo scienziato di turno si preparava all’ennesima “mutilazione” del malcapitato vegetale quando, muovendosi in modo distratto e goffo, si ferì ad un dito con il suo stesso bisturi. La macchina, già in funzione in quel momento, registrò, allora, una reazione della pianta, intensa e violenta quasi come se una parte del suo stesso corpo fosse stata ferita!

Ciò diede inizio a tutta una serie di nuovi esperimenti: le pianticelle reagivano “emotivamente” anche alle sevizie che venivano imposte ad altre piante; un vasetto di yogurt contenente fermenti lattici vivi segnalò il suo “disagio” quando piccole scosse elettriche furono inviate non ad esso, ma a un altro consimile recipiente; un uovo fresco registrò e trasmise alla macchina la “sofferenza” di un altro uovo che veniva fatto bollire!

Pressoché contemporaneamente, in quella che allora era l’Unione Sovietica, si procedeva a un altro tipo di esperimento che, a mio giudizio, oltre agli scopi dichiarati, doveva servire perfettamente a dimostrare l’insensibilità dell’animale-uomo verso il resto della Vita.
A una gatta che aveva partorito da poco vennero sottratti i micini, ognuno dei quali fu imbarcato su un diverso sommergibile atomico pronto a partire per una delle sue missioni esplorative. In tempi diversi e in località estremamente distanti tra esse e dal laboratorio nel quale la povera gatta era custodita, i micetti vennero freddamente uccisi: ogni volta, indipendentemente dal fatto che mezzo mondo separasse la madre dai suoi figli, gli apparecchi ai quali la micia era collegata registrarono una sua intensa (quanto inconscia) attività emotiva!

Da questi esperimenti si è evoluta la teoria dei “Campi Comunicanti”: come sempre accade in questi casi le possibili chiavi di lettura di questi fenomeni possono essere più d’una ed occorreranno ancora molti studi per interpretare correttamente i fatti… anche se ci auguriamo che giunga finalmente il tempo di una nuova etica della scienza che impedisca che la nostra presuntuosa ricerca della verità passi attraverso la strada della sofferenza di altri esseri viventi!
Una delle più ragionevoli interpretazioni, comunque, ci porterebbe oggi a concludere che esiste una sorta di comunicazione tra cellule viventi, indipendentemente dalla “forma” in cui esse sono aggregate.
E' come se la Vita avesse un proprio linguaggio, come se i mattoni fondamentali dell’esistenza “sentissero” quando uno di essi soffre e muore.

Chi si è occupato, ad esempio, dell’evoluzione del sistema nervoso dalle origini della vita sulla Terra sino alla comparsa dell’Homo Sapiens Sapiens, sa perfettamente che le primitive giunzioni sinaptiche destinate con il tempo ad evolversi in neuroni, non erano sostanzialmente diverse dagli schemi strutturali e funzionali che contraddistinguono le sinapsi come le conosciamo oggi. La Vita, insomma, si è organizzata in milioni di modi, sempre più complessi, ma, se scendiamo abbastanza in profondità nell’esaminarla, scopriamo che non è quasi possibile distinguere un’alga da Leonardo da Vinci!

D’altra parte tutte le forme di vita sul nostro pianeta si sono evolute e differenziate a partire dallo stesso antichissimo essere unicellulare che popolò nelle più remote epoche il “brodo primordiale” che costituiva gli oceani. Queste “amebe primigenie” si moltiplicavano per scissione, ovvero trasmettendo ai loro discendenti tutto e solo il loro patrimonio genetico: a ben vedere questa è una forma d’immortalità e, quindi, in un certo senso, quell’eredità genetica è ancora presente in noi come in ogni altro essere vivente.

Forse esiste, dunque, una “sub-comunicazione” che sfugge del tutto ai nostri organi di senso più evoluti, ma che finiamo col percepire molto spesso sotto forma di stati umorali, di squilibri della nostra armonia, di malesseri non ben motivati, ad esempio.
Il nervosismo del bambino “troppo piccolo per capire” nei giorni in cui mamma e papà hanno litigato, l’irrequietezza del nostro cane quando non ci sentiamo bene, il crescere più o meno rigoglioso dei gerani conservati in un vaso a seconda dei nostri stati d’animo, forse possono trovare molte spiegazioni alternative, come anche il senso d’angoscia che proviamo, senza ben comprenderne le ragioni, in determinati luoghi o quello di pace che altri trasmettono… ma è certo che l’ipotesi di questo “muto linguaggio” a livello cellulare potrebbe fornire una spiegazione a molti “fenomeni” ancora oggi misteriosi.

Vogliamo aggiungere qualcosa?

Gli astrofisici ritengono che questo nostro Universo sia stato generato dal cosiddetto “Big Bang”: una sfera d’energia raggiunge la massa critica ed esplode. Da quel “Bang” si è generato tutto ciò che esiste.
Le galassie, i pianeti, i fili d’erba, l’elettricità, le montagne, i delfini, gli uomini e qualsiasi cosa possa venirvi in mente, non sono che… scintille di quella esplosione e ciò che chiamiamo “materia” non è che “energia” che vibra su frequenze diverse...

Se “ascoltate” bene…potete sentirlo.

venerdì 18 maggio 2007

COME GOCCE NEL MARE


Immaginate una nuvola sospesa sul mare.

Si tratta, in fondo, dello stesso elemento: acqua in forma liquida sotto ed acqua in forma gassosa sopra.

Improvvisamente comincia a piovere, la nuvola si scioglie in minute gocce che precipitano verso la superficie dell’oceano: acqua che dall’acqua cade verso l’acqua…

Per qualche misteriosa ragione una di queste gocce prende consapevolezza di se stessa, diviene in grado di pensare “io sono!”… e comincia a porsi delle domande: “Chi sono? Da dove vengo? Verso cosa sto andando?”

Vede sotto di lei altre gocce che si sciolgono e scompaiono nel mare… e la cosa la spaventa terribilmente.
Allora comincia a sognare: sogna che il mare sia un luogo di delizie dove lei potrà vivere in eterno; sogna che dal mare tornerà a sollevarsi per poi cadere ancora verso le onde in un eterno circolo…

Più o meno , infatti, è quest’ultima cosa che accade: la piccola goccia che, prima, era inconsapevole parte dell’acqua della nube, si disperde nell’oceano tornando a ciò che l’ha generata, nuovamente inconsapevole di sé.

Poi i raggi del sole faranno evaporare parte di quell’acqua, daranno vita ad un’altra nube ed il ciclo ricomincerà.

“Qualcosa” della piccola goccia sopravvive…ma non la consapevolezza del sé.

Tutto ciò che noi chiamiamo “vita”, tutto ciò che chiamiamo “io” non è che un' effimera parentesi nella immensa ed eterna Vita, nell'infinito e collettivo Io.

Per questo i Maestri Zen dichiarano che “non possiamo morire, poiché non siamo mai nati”, per questo predicano il “non attaccamento al sé”.

Capire con la mente, con la ragione, che la vita non si distrugge, ma si trasforma, non basta a vincere la paura della morte.

Comprenderlo con “il Ventre”, con ogni cellula del nostro corpo, spalanca orizzonti insospettati ed insospettabili…

E ci regala, contemporaneamente, un valore unico a questa nostra vita ed il dovere morale di farne l'uso migliore che ci riesce...

lunedì 14 maggio 2007

AMARCORD...


Era una triste circostanza: avevo affiancato il Maestro in una semplice e commovente cerimonia mentre disperdeva tra la bianchissima ghiaia rastrellata e le rocce muschiose e corrose dal tempo del giardino di pietra di Ryoan-Ji, a Kyoto, le ceneri del corpo di un comune amico, per aderire alle sue ultime volontà.
Avevamo parlato della Morte, quella volta come in molte altre occasioni, ma da un punto di vista insolito che era stato introdotto da una mia domanda, forse sciocca…

“Sensei,” – gli avevo chiesto mentre lasciavo che il mio sguardo si perdesse tra il gioco delle immobili correnti che le pietruzze sembravano formare attorno alle antiche rupi – “tu credi che esistano un paradiso e un inferno, dopo la morte?”

“Non so…” – rispose il Maestro con un sorriso triste – “…non mi sono mai posto seriamente il problema. Però, talvolta, ho avuto pensieri strani, in merito…”

“Pensieri strani?”


“Già. Vedi, noi non sappiamo esattamente cosa accada al nostro corpo e, di conseguenza, nella nostra mente, nell’istante della morte… e nessuno di coloro che potrebbero narrarcelo è tornato dall’aldilà per riferirci qualcosa in proposito. Certamente, però, nel momento in cui le cellule del nostro cervello iniziano a morire a centinaia di migliaia mentre, magari, il cuore batte ancora e il sangue continua a scorrere, la nostra visione del mondo diviene diversa da quella che possiamo avere tu ed io in questo momento…”

"In che senso?”

“Se alteriamo le funzioni del cervello, alteriamo anche il nostro mondo soggettivo, non ti pare? È sufficiente una banale sostanza stupefacente per farci vedere cose che altri non vedono, sentire suoni che sono solo dentro di noi, nutrire pensieri che in altre circostanze ci sembrerebbero assurdi e che, invece, ci accade di trovare assolutamente coerenti con una loro logica particolare…”

“Non vedo il nesso…”

“Quali cambiamenti chimici, elettrici, si producono nel nostro corpo quando la vita lo sta abbandonando? Quali pensieri, quali sensazioni sorgono dallo spegnersi graduale o dal mutare dei sensi che ci mettono in comunicazione con ciò che è esterno a noi? Soggettivamente parlando, in quell’istante, noi non stiamo vivendo la nostra morte, ma la fine dell’intero Universo… o, meglio, ci rendiamo conto che, da un certo punto di vista, le due cose coincidono perfettamente, che noi siamo quell’universo che sta morendo…
Mi è accaduto di pensare che, forse, una delle prime cose a mutare potrebbe essere il senso del tempo che la nostra mente, in un ultimo tentativo di aggrapparsi all’esistenza che le sfugge, potrebbe dilatare, ampliare a dismisura… come accade, appunto, con l’uso di certe droghe che danneggiano le cellule cerebrali, quando un minuto diviene lungo come un’ora, un’ora sembra protrarsi per un giorno intero e un giorno può contenere tutta una vita! Se così fosse, il moribondo vivrebbe una realtà diversa da chi, ad esempio, lo stia assistendo in quei suoi ultimi momenti: le persone al capezzale del malato assisterebbero ad un’agonia di poche ore, ma per il morente quel tempo passato tra la vita e la morte sarebbe soggettivamente vicino all’eternità!
Ora: è chiaro che tutto dipende da come si vive l’istante della propria morte… Se sei in pace con te stesso, se non temi la fine della vita, se sei pronto ad accettare la sua conclusione come il coronamento di tutti i tuoi anni, felice per ciò che hai fatto, capito, donato al mondo e grato per ciò che il mondo ha donato a te sino a quel momento… allora quel tempo eterno trascorrerà sereno ed armonioso.
E questo, forse, è ciò che noi chiamiamo paradiso…

Se, al contrario, ti aggrappi alla vita perché sei insoddisfatto di come l’hai trascorsa, se dentro di te si agitano rimpianti, rimorsi, dolorosi ricordi di delusioni, di ciò che avresti dovuto fare e non hai fatto, delle persone che avresti voluto amare senza riuscirci, del male che hai fatto a te stesso ed agli altri…
Insomma: io non avrò una grande fantasia, ma non riesco ad immaginare un inferno peggiore!”

SPOT


Un breve intermezzo pubblicitario...
Coloro che si lamentano (giustamente) della superficialità con cui mi vedo spesso costretto ad accennare ad argomenti che meriterebbero una trattazione ben più meditata possono, se lo desiderano, cimentarsi in una piccola "caccia al tesoro"...
Dopo aver pubblicato un po' di saggi con una nota casa editrice romana e deciso a scriverne uno per la prima volta a quattro mani con un'amica, eccellente psicologa milanese, mi feci (qualche anno or sono) convincere dalla mia coautrice a proporlo alla Jackson Libri di Milano (che stava cambiando il suo nome in Edizioni Futura). Il libro fu regolarmente pubblicato e molto irregolarmente distribuito in quanto, con un tempismo sciagurato, la ex Jackson si avviava a dichiarare il proprio fallimento.
Ora trovare questo testo è divenuta una vera e propria impresa. Tuttavia ne sono reperibili alcune copie, ovviamente preziosissime :-), su siti che trattano remainders ed una persino su e-bay.
Purtroppo non è trovabile la seconda versione riveduta, corretta ed ampliata che era pronta per le stampe: quella esiste solo nella memoria virtuale del mio PC. Se vi volete cimentare nell'impresa di cercarlo... accomodatevi: questa è una Pubblicità Progresso, in quanto, per via del fallimento della casa editrice, di quest'opera io non ho mai visto né mai vedrò una straccio di percentuale per i diritti d'autore :-)
Ecco i dati:

Zanardi-Abietti
Shintebiki
Gruppo Futura
pag: 400
€. 16.53

Un affascinante e semplice percorso di conoscenza di se stessi. Per la prima volta presentati al grande pubblico i principi delle dinamiche emozionali, frutto di sintesi tra la saggezza dell’Oriente e la scienza dell’Occidente. Un testo che può concretamente aiutarci a trovare la via verso una maggiore armonia con noi stessi e il mondo attorno a noi, per combattere con armi migliori la quotidiana battaglia contro lo stress, le ansie e i problemi che ci avvelenano la vita.

mercoledì 9 maggio 2007

CANZONE DI MAGGIO


Io appartengo ad un’antica schiatta di Monaci – Guerrieri.
In quanto Monaco la tolleranza, la comprensione, la gentilezza, sono divenute parte del mio corredo genetico…
Qualche volta, tuttavia, sempre senza rinunciare ai modi cortesi e senza che l’animo sia turbato da sentimenti negativi, con tranquilla e pacata determinazione, il Guerriero ha il dovere di snudare la Spada.

Dicono che la verità renda liberi… ma talune verità nessuno ha voglia di sentirle: è a questo punto che Monaco e Guerriero concordano pienamente sulla necessità di dirle comunque, anche se tagliano, anche se feriscono, anche se saranno rifiutate con la più scontata delle scuse: “Non riguarda me”.

Diremo allora che l’arma più letale, quella che provoca più vittime su questo nostro tormentato pianeta, non è la bomba nucleare, non sono i gas nervini, non sono gli ordigni “intelligenti”.
E’ il telecomando della TV.
La frase che provoca più morte e distruzione non è “Sganciate la bomba” o “Aprite il fuoco”; è “Ancora il Darfour! Cambia canale che stiamo mangiando!”

Sono pochissimi gli uomini al mondo che causano guerra, eccidi, disastri ecologici, per i loro egoistici interessi.
Sono pochissimi... e la loro forza, quella che consente loro d’inseguire profitti e potere al prezzo di sangue versato o foreste distrutte, non risiede nel loro ruolo politico, nel loro denaro o nei loro armamenti: la loro oscura autorità nasce dall’indifferenza dei più, dalla rassegnazione dei molti, dal cinismo e dallo snobismo di chi “si chiama fuori”.

La verità scomoda, che vi piaccia o meno, è la seguente: coloro che si chiudono nella loro “torre d’avorio”, nel loro “orticello” (e davvero non importa se lo fanno per becero egoismo o se tirano in ballo alate giustificazioni filosofiche) sono complici; il sangue degli innocenti sporca anche le loro mani, anche se, personalmente, non farebbero male ad una mosca; il grido di dolore di una Terra morente è causato pure da loro, anche se risparmiano l’acqua del rubinetto e riciclano il vetro.
Oggi più che mai è attuale e profondamente vera la spietata frase di Franz Fanon (e se non sapete chi è… documentatevi): “OGNI SPETTATORE E’ UN VIGLIACCO O UN TRADITORE”.

Se preferite qualcuno di più recente, forse basteranno alcuni versi della Canzone di Maggio di De André:

“E se nei vostri quartieri
tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate,
senza feriti, senza granate,
se avete preso per buone
le "verità" della televisione,
anche se allora vi siete assolti
siete lo stesso coinvolti”.

Come sempre potete scegliere, ma la “verità scomoda” è che non esistono posizioni neutrali: il raffinato intellettuale che si rifugia con ostentazione nelle sue elucubrazioni perché è “trasversale al Bene ed al Male” e può guardare a tutto questo agitarsi con superiore distacco o con poetico cinismo, non è, nella sostanza, nei fatti che sono prodotti dal suo pensare e dal suo non-agire, diverso dall’uomo di potere che programma un massacro o dai suoi miseri scherani che lo eseguono.

Certo: nessuno può impedirvi di “assolvervi” o, peggio, di dire a voi stessi che questa complicità non vi tocca perché, tanto, “le cose sono sempre andate così ed io ho una visione spietatamente realistica e non utopistica del mondo!”.

Come sempre potete scegliere, ma non esistono posizioni neutrali: ogni spettatore è un vigliacco o un traditore.

lunedì 7 maggio 2007

GLI IMPAZIENTI, MARE, MONTI ED UTOPIE...


"...ritorno a casa, talvolta,
con gli occhi stanchi

di vedere un mondo che non cambia..."


...diceva Pablo Neruda... e chiunque abbia sperato di veder cambiare il mondo conosce questa stanchezza.
Certamente la conosce Elena che, in uno dei suoi ultimi commenti, cerca la strada per opporsi alla rassegnazione, per non arrendersi ancora all'idea che questo sia "il migliore dei mondi possibili"...
Un mondo dove un bambino ogni trenta secondi muore di fame, un mondo dove si continua a morire di lavoro anche nei "Paesi sviluppati", un mondo dove ha ragione chi ha le bombe più grosse e dove l'avidità sta portando alla distruzione del pianeta, non può essere la miglior cosa che l'Uomo può realizzare!
Eppure...
Grandi menti e grandi anime della filosofia, della politica, della mistica hanno indicato strade sulle quali in ben pochi sembrano interessati a procedere, preferendo avanzare verso il baratro su un sentiero lastricato di buone intenzioni... e di rassegnazione.
Ed allora racconterò, per tutti e per Elena in particolare, la solita storiella cinese... banale solo in apparenza.

Il vecchio Cinese viveva nella casa che i suoi avi avevano edificato ai piedi di una piccola montagna. Al di là del monte c'era il mare e, in realtà, era tanto vicino, in linea d'aria, che il vento, talvolta, ne portava il profumo salmastro e che, nelle giornate particolarmente quiete, potevi quasi udirne l'immenso respiro.
Il sogno del vecchio Cinese era di poter vedere il mare dalla sua casa... ma la mole della montagna glielo impediva inesorabilmente.
Così, un giorno, si armò di una piccola pala, salì sulla vetta del massiccio ed iniziò a scavare.
I suoi vicini, inevitabilmente, risero di lui e quelli che gli volevano più bene cercarono anche di fermare questa sua follia...

" Che senso ha, ciò che stai facendo?" - gli dissero - "Tu sei vecchio, ma se anche avessi vent'anni e dedicassi tutta la vita a scavare non riusciresti che ad abbassare il monte di qualche metro!"

"Questo lo so..."
- rispose il vecchio sorridendo - "Ma so anche che la montagna non può crescere. Io, invece, ho dei figli che hanno dei figli che avranno dei figli. Tutti loro continueranno la mia opera. E, un giorno, da casa mia si vedrà il mare..."

Io so con assoluta certezza che non lo vedrò quel mondo dove se cadi ti tenderanno una mano anziché calpestarti la faccia, dove gli uomini varrano per ciò che sono e non per ciò che hanno, dove le differenze tra la gente saranno un bene prezioso e non una fonte di paura, dove il sesso sarà una cosa pulita e la guerra una cosa sporca, dove la norma sarà il rispetto e gli arroganti saranno considerati persone da curare.
E sono ragionevolmente sicuro che non lo vedrà neppure mio figlio.

Tutto quello che posso fare è continuare a scavare e, nella misura in cui ci riuscirò, lasciare in eredità la mia piccola pala.

No. Davvero non importa quanto tempo ci vorrà...
Un giorno, da casa mia, si vedrà il mare...


domenica 6 maggio 2007

INTERMEZZO


Ho sentito che non volete imparare niente.
Deduco: siete milionari.
Il vostro futuro è assicurato - esso è
davanti a voi in piena luce. I vostri genitori
hanno fatto sì che i vostri piedi
non urtino nessuna pietra. Allora non devi
imparare niente. Così come sei
puoi rimanere.

E se, nonostante ciò, ci sono delle difficoltà, dato che i tempi,
come ho sentito, sono insicuri,
hai i tuoi capi che ti dicono esattamente
ciò che devi fare affinché stiate bene.
Essi hanno letto i libri di quelli
che sanno le verità,
che hanno validità in tutti i tempi
e le ricette che aiutano sempre.

Dato che ci sono così tanti che pensano per te
non devi muovere un dito.
Però, se non fosse così
allora dovresti studiare.

Bertolt Brecht