giovedì 19 aprile 2007

IL GIORNO DELLA VITTORIA


Scusate la logorrea, ma non riesco a dire questa cosa con meno parole. Diciamo che è una storia che…mi ha raccontato un amico, ok?

All’epoca mi facevo chiamare Aldo Bergonzoni e viaggiavo con un passaporto svizzero.
Qualche volta rispondevo al nome di Laszlo Kovacs ed il passaporto diventava ungherese.
Questo perché, molto spesso, dovevo lasciare di soppiatto il Paese in cui mi trovavo al momento, evitando per quanto possibile gli sguardi sospettosi dei militari dall’aria dura che occupavano l’aeroporto di turno.
Era accaduto già un discreto numero di volte: si fa l’abitudine a tutto, anche alla paura.

Quella volta, però, era tutto diverso: all’aereo mi accompagnava un corteo di gente festante, bambini mi offrivano fiori e belle ragazze mi stampavano sonori baci sulle guance. Una cosa mai vista: per la prima volta mi trovavo dalla parte di chi aveva vinto.
Ero talmente abituato a stare con gli sconfitti che mi sentivo a disagio, non sapevo bene come comportarmi…

E poi lo vidi.
Era confuso nella ressa di persone che si affollavano ai banchi del check-in.
S’era tagliato i baffi e portava grandi occhiali da sole… ma avrei riconosciuto la sua faccia in ogni modo: avevo studiato la sua fotografia per mesi, me l’ero attaccata sul frigorifero per vederla ogni mattina, appena alzato.
Ora le parti erano invertite: era lui che cercava di passare inosservato, che fuggiva come un ladro nella notte, mascherato con una orrenda camicia hawaiana ed un paio di bermuda ridicoli.

Mi bastava un gesto, un cenno del capo, un puntare l’indice…ed i giovanotti sorridenti che mi scortavano dandomi pacche sulle spalle avrebbero cambiato espressione e sfilato dalla spalla il loro kalashnikov.
Anche lui mi vide e mi riconobbe: probabilmente aveva a sua volta una mia foto, non sul frigorifero, immagino, ma in un dossier che teneva sulla sua ordinata scrivania, nel suo ufficio di “consulente militare per la raccolta d’informazioni”.

Questo, ufficialmente, era stato il suo titolo e, verosimilmente, lui pensava a se stesso definendosi “soldato di ventura”.
Per me era solo un mercenario esperto in torture, il responsabile della morte, spesso orrenda, di tante persone che mi erano amiche, di tante altre di cui avrei potuto essere amico.
Stavo per farlo. Stavo per dire: “Busca aquèl hombre!” … ma qualcosa d’indefinito, ma potente, mi fermò.

C’imbarcammo entrambi: era la prima volta che volavo su un aereo di lusso di quelle dimensioni e guardavo sbalordito la scala che saliva al piano superiore, i salottini, tutto quello spazio a disposizione! Quando ci permisero di slacciare le cinture di sicurezza salii al bar.
Era seduto su uno degli sgabelli al bancone e sorseggiava un “bloody mary”. Mi accomodai sul sedile accanto, senza parlare, ed ordinai un’acqua tonica con un po’ di gin.
Bevemmo in silenzio per un po’, poi, senza guardarmi ma tenendo lo sguardo fisso nel bicchiere, mi domandò a bassa voce: “Perché?”
Non c’era bisogno di spiegazioni. Sapevo cosa voleva dire: “Perché mi hai salvato la vita? Perché, tu che sei un mio nemico, non mi hai denunciato?”

Fui costretto a domandarmelo anch’io…

“Non lo so” – risposi con sincerità – “Forse perché ho già visto troppa morte. Forse perché non voglio diventare come te. Dimmelo tu, piuttosto, perché fai questo sporco lavoro? Ti piace giocare all’eroe?!”

Eroe?!” – parlava sempre a bassa voce, ma le parole gli uscivano di bocca come sputi – “Cosa ne sai, tu, degli eroi?! Ora ti spiego io, come nasce un eroe… Ti scegli una guerra perché credi sia quella giusta, perché vuoi difendere le cose in cui credi… Cose che per te non hanno significato, immagino, le cose che producono una società ordinata e pulita! Ti scegli una guerra per fermare quelli che vogliono distruggere le cose in cui ti hanno insegnato a credere. E non è mai come ti aspetti, è sempre tutto più sordido e sporco… ma è il mio lavoro ed è quello che so fare. Poi, un giorno, durante una normale operazione di ricognizione in un buco di culo di paese di cui non sai neppure il nome, cadi in un’imboscata: ti sparano addosso e non vedi neanche il nemico. Allora ti scavi una buca nel fango, ti attacchi alla radio e chiedi l’intervento degli elicotteri, ma qualche burocrate imboscato la tira per le lunghe ed è restio a sprecare tutta quella preziosa benzina per dei mercenari stranieri. Così resisti perché non puoi fare altro, perché non puoi nemmeno arrenderti: sei un mercenario, non c’è nessuna Convenzione di Ginevra che ti protegge e poi, magari, tra quelli che ti sparano addosso c’è qualcuno che aveva parenti nel villaggio che hai bruciato il giorno prima… e sai che non avrà pietà. Resisti, rispondendo al fuoco sino a che hai munizioni, con il coraggio di chi non ha nessuna altra fottuta scelta. Poi ti capita di sporgerti troppo dal tuo buco nel fango… ed un ragazzotto foruncoloso che imbraccia un fucile più alto di lui ti becca nel ventre. E’ così che diventi un eroe, mentre crepi lentamente, vomitando sangue, in un Paese di cui, in realtà, non t’importa un cazzo. Fottiti, tu e le tue menate sugli eroi!”

“Fottiti tu…” – risposi – “Se sei tanto… disincantato, perché diavolo continui a fare questo mestiere da macellaio?”

Si voltò a guardarmi in faccia, prima di rispondere: “Te lo detto: perché è l’unica cosa che so fare…”

Mi strinsi nelle spalle. “La vita è tua…” – replicai – “Ognuno sceglie come vivere e, se è fortunato, come morire. Per quello che mi riguarda sono contento di non essermi accollato il peso della tua morte: anche se faccio fatica, anche se certo non piangerò quando ti faranno la pelle, sto cercando di non diventare ciò che combatto. Anch’io ho cose in cui credo e sono disposto a morire e persino ad uccidere, se non posso farne a meno, per difenderle. Ma la vendetta la lascio a quelli come te: non voglio portarmela nel mondo nuovo che sogno. Altrimenti, in qualche modo, saresti tu quello che ha vinto. In ogni caso… mi devi una vita. Ricordatelo, se hai onore, quando, nella prossima guerra che sceglierai, t’imbatterai in uno come me…”

Non l’ho più incontrato, ma ho trovato sei anni dopo il suo nome su un trafiletto della rivista americana “Soldiers of Fortune”: era l’elenco degli “eroici combattenti” caduti in un’oscura guerra, in un poverissimo Paese africano di cui, probabilmente, non gli importava un cazzo.

Credo che il non aver puntato quel dito sia stata una delle migliori cose che ho fatto nella mia vita.
Ed una delle più difficili.

15 commenti:

SETHAR ha detto...

Uno dei problemi che possono sorgere è, come ho già scritto in un'altro post (in riferimento ai chiodi piantati), che non sempre ci rendiamo conto che stiamo puntando il dito contro qualcuno...
Non sempre le situazioni sono così chiare...
E non sempre si devono affrontare nello stesso modo…
Quindi attenzione a non confondere un incendio con il caveau di una banca…
Cosa c’entra??
Mah…
Forse Equo, prima o poi, dirà qualcosa in proposito…
Siccome, però, la mia settimana lavorativa finisce qui (la mia piccola e la sua mamma mi aspettano in Liguria), per il momento, auguro buon week-end a tutti.
A presto

Anonimo ha detto...

L'eroismo del perdono..Quando tutto grida il contrario e tu ti trattieni, e ti guardi dentro vedendo in te l'immagine riflessa dell'altro e ti rendi conto di non essere poi così dissimile.. allora, e solo allora, puoi comprendere la portata della follia della morte, quella morte (fisica, civile, sentimentale.. quale che sia, non importa) che vorresti dare, come atto risolutivo e "assolutorio", all'altro, nulla è se non la "tua", di morte..
E allora neghiamoci una responsabilità che non è nostra. Difendiamo la vita, i suoi valori, benché negati, benché derisi..
E coltiviamo i nostri sogni.. Perché chi non sa sognare un po è già morto dentro, e la sua cancrena vuole condividerla per alleviare la sua pena. Senza sapere che, così, è impossibile riuscirci..
mauro

Equo ha detto...

Parole profonde, quelle di Mauro.Non so se sia veramente possibile perdonare un torturatore, ma è importante per noi stessi agire diversamente: c'è un rapporto dialettico stretto tra il fine che si vuol raggiungere ed i mezzi che impieghiamo per perseguirlo... Non è possibile (e la Storia ce lo ha dimostrato a più riprese) costrire (che so?) una società che bandisca la pena di morte... fucilando tutti quelli che la vorrebbero mantenere! Mi viene in mente quel tipo che diceva : "Non sopporto gli intolleranti!"...bella contraddizione in termini, no? O, magari: "Ci sono due tipi di persone che odio: i razzisti e gli Zingari!". Insomma, se vogliamo fare un dono inestimabile a noi stessi (sottolineo: A NOI) cerchiamo di... non fare agli altri quello che non vorremo fosse fatto a noi. Oh! E' già stato detto, vero? :-)
E raccolgo il suggerimento di Sethar, ovviamente: presto si parlerà di incendi e di caveau.

elena ha detto...

E' da quando ho letto il post che mi lacero la coscienza e ancora non so cosa avrei fatto io. Ma penso anche che sia un falso problema... perché, ovviamente, lo scoprirò solo e se mai mi succederà.
Capisco il senso di quello che avete scritto, da un certo punto di vista sono pure d'accordo... ma non riesco a farlo mio.
La vendetta ci pone allo stesso livello dei persecutori. Vero. Ma la giustizia no!
Sarebbe forse giusto (dal mio punto di vista lo è) chiedersi cosa avrebbero pensato del "tuo" bel gesto gli esseri umani che sono poi stati torturati e massacrati dall'individuo che hai graziato... forse a loro sarebbe sembrato meglio "pareggiare i conti", non pensi? Forse loro sarebbero ancora vivi... Gli hai salvato la vita, va bene. Ma forse che questo lo ha portato a meditare ed a cambiare mestiere? Non pare proprio...
Il male dal bene non impara che quello che può sfruttare a suo vantaggio. Questo è quello che penso io.
Se i Partigiani non avessero imbracciato i fucili e non avessero fatto la Resistenza, non è che i fascisti ed i nazisti avrebbero pensato "ma che bravi questi nemici (non avversari, ovviamente...), guarda come si fanno massacrare civilmente" e non avrebbero smesso per il buon esempio ricevuto. E oggi non saremmo qui a parlare. Mi rifiuto di mettere aguzzini e vittime che si ribellano sullo stesso piano. Non dico di rendergli la pariglia con torture e massacri, ma nemmeno di lasciali a piede libero a fare quello per cui si sentono portati. L'ideale sarebbe un bel carcere rieducativo alla Beccaria, ma siccome in certe condizioni storiche non c'è modo di metterlo in pratica, bisogna impedire ai cattivi di nuocere.
Ma ripeto, tutte queste sono solo teorie. Solo la pratica ci potrebbe dire (a te l'ha già detto) come ci comporteremmo...
Io non sono il Che e non penso che da morta sarò utile quanto da viva... a volte mi domando persino se sono utile e basta. Ma questa è un'altra storia.
Va bene non costruire una società contro la pena di morte uccidendo gli oppositori, ma pensate davvero che gli oppositori vi daranno la stessa chance?
Non mi arrogo il diritto di decidere chi ha i meriti per vivere... ma è giusto prendersi il diritto di decidere che qualche altra vittima deve morire?

Equo ha detto...

Mi aspettavo questo intervento di Elena e, francamente, le domande che lei si pone sono le stesse che hanno tormentato il mio spirito per anni e che, talvolta, ancora si affacciano in alcune notti. Posso dire una cosa sola: troppe volte ho visto chi si batteva per la fine di un'ingiustizia trasformarsi in persona ingiusta dopo la vittoria; troppe volte ho visto le vittime trasformarsi in carnefici quando ne avevano l'opportunità...ed un sogno mutarsi in un nuovo incubo. Posso dire una cosa sola: se per distruggere un nemico devi usare i suoi sistemi, tu sei diventato il nemico. Ci sono prezzi pesanti da pagare a questa coerenza...ma sono giunto a pensare che sia l'unica via percorrendo la quale nutriamo una speranza per il mondo e per la Vita. Non perché i "cattivi" si redimano: per salvare quella speranza e testimoniarla. O finiremo, ancora, per abbattere lo Zar Nicola e sostituirlo con uno Stalin.

elena ha detto...

Hai assolutamente ragione. Spesso le vittime, quando cambiano ruolo, sono peggiori dei carnefici originari. Ma ciò non toglie che non è giusto relegarle al ruolo di vittime in eterno in nome della possibilità che diventino peggiori. Marzullo direbbe "meglio vittima in atto o carnefice in potenza?" Allora, ovviamente, torno al personale - che già è abbastanza difficile di suo, ma se non altro "parlo per me". Non rappresento nessuno tranne me. Non pretendo neppure di convincere qualcuno a seguirmi (anzi). Io sono arrivata alla conclusione che, tanto, all'inferno ci andrò comunque. Ergo, se qualcuno fa del male a qualcuno che mi è caro (ma anche sconosciuto), paga. E non sto parlando del male fatto a me, che è un'altra storia.
Mettiamola così: un bambino viene rapito, torturato e massacrato. Il genitore trova il responsabile e lo consegna alla giustizia - o magari si fa giustizia da solo. Non per vendetta, che tanto nessuno gli toglie quello che gli hanno preso. Ma per impedire che altri innocenti ci vadano di mezzo. Dal vostro punto di vista diventa come il carnefice del bimbo. Bene, io come genitore sono disposta a farlo. Anzi, se ci resto pure io è meglio, così non dò più cattivi esempi. Mia figlia non avrà nulla da imparare da me - anzi è meglio che mi dimentichi in fretta e segua l'esempio vostro. Anche perché non sono convinta che gli errori dei padri debbano ricadere sui figli.
Ma il mondo sarà un posto più pulito. E questo sarà un beneficio per tutti quelli che restano. La lotta tra il bene ed il male non si è mai svolta con il BENE passivo che sta a subire... potreste anche dirmi che proprio questo ha determinato la sua non vittoria, ma non riesco a credere che porgendo l'altra guancia l'altro capisca e cambi... in fondo, siamo uomini, non animali!!! Affermazione questa che, essendo solo scritta, magari non è chiara se non a me: intendo dire che gli animali hanno un codice etico (vedi la gola del lupo) e noi no. E se i Partigiani sono all'inferno, sarò in ottima compagnia...

Equo ha detto...

Poi la smetto, giuro! Se no diventa un dialogo e tanto vale che ci scriviamo mail, Elena ed io...ma credo che alcune cose vadano precisate per tutti i viandanti...
Elena, non siamo così lontani, sai? Anch'io voglio assicurare alla giustizia chi, ad esempio, abbia torturato un innocente: assicuralo alla giustizia, appunto...non torturarlo a mia volta. Gli unici Partigiani che "sono all'inferno" sono quelli che, eventualmente, si siano abbassati ad usare i mezzi delle SS o dei Repubblichini, torturando, uccidendo civili per rappresaglia o per la loro etnia. Ribellarsi alle ingiustizie non è solo lecito: è doveroso, ma sempre ricordando per cosa ci si batte e, quindi, rifiutando di diventare qualcosa che si odia. Il "mercenario" meritava d'essere messo in condizioni di non nuocere...ma, in quel contesto, non avrebbe avuto giustizia ma sarebbe stato oggetto di vendetta. A volte occorre scegliere il male minore...e pagarne il prezzo con la propria coscienza.

elena ha detto...

Sì. Messo così il ragionamento mi sta bene. Anche se è un vero peccato (per me) trovarmi all'inferno con quelli che non mi piacciono! :)

Equo ha detto...

Mah! Oscar Wilde diceva che il paradiso è meglio per il clima, ma l'inferno per la compagnia. :-)

elena ha detto...

Equo, pare che ci abbiano lasciati soli... ma forse gli altri stanno solo riflettendo su quello che abbiamo scritto e presto torneranno a farsi sentire. Anche se averti "tutto per me" non mi dispiace affatto - e oltretutto non penso che un dialogo a due sia del tutto privo di utilità, essendo comunque sempre aperto a qualsiasi intervento altrui.

Stando a Dante (che per i tempi sembrava essere parecchio informato) decisamente la compagnia dell'inferno è più divertente... o, se vogliamo, meno monotona e perfettina. Ma se è vero che all'inferno ci trovo solo i partigiani vendicativi (e non vendicatori)... posso solo sperare che Pinochet, Franco, Stalin e gli altri si siano pentiti... così se ne sono andati in paradiso (e qui si dimostra che è meglio che io non sia Dio... perché questa storia del pentimento con conseguente perdono mica mi quadra troppo).

Però, per quel che riguarda il clima, mi dispiace dover contraddire il signor Wilde: studi nemmeno troppo recenti hanno dimostrato che è migliore (meno caldo) all'inferno...

Ma se consideriamo che stiamo facendo di tutto (e ci riusciamo pure!) perché la vita "di qua" sia un inferno, che ce ne facciamo di quello di là? Non è stupido aspettare di essere all'inferno di là per capire che è il caso di cambiare?
Lo so... fuori tema, come sempre... :)
Suerte!

Equo ha detto...

Ok. Visto che siamo soli possiamo parlare in confidenza :-) E' ovvio che uso termini come "inferno" o "paradiso" come metafore: per ciò che mi riguarda sono saldamente agnostico e di cosa avverrà dopo la mia morte...me ne occuperò allora, se ci sarà "qualcosa" che se ne può occupare. Credo invece che ognuno si costruisca l'inferno o il paradiso in QUESTA vita con le proprie mani e, per ora, è su QUESTA vita che, infatti, vorrei intervenire. Detto per inciso una cosa molto simile l'ha detta persino un papa: Giovanni XXIII. Ergo: facciamo del nostro meglio per realizzare il nostro "paradiso" qui ed ora. Se c'è dell'altro... tutto grasso che cola! :-)

elena ha detto...

Sono d'accordo con te, Maestro... ma già lo sapevi, vero? :)
Però che goduria avere una stanza riservata!!! Temo che non durerà molto, però... anche se non è vero che "temo"... Buona domenica! :)

ska ha detto...

"sto cercando di non diventare ciò che combatto"

...quanto mi piace quest'affermazione! Quant'è nobile e giusta! Tutti dovremmo tendere a questo fine. E sì, è l'equivalente del "non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te"...d'altronde il cristianesimo, come tutte le religioni o filosofie, ci mostra la via giusta, ed è la stessa per tutti. Poi sono gli uomini ad averle piegate ai loro vili scopi.
D'accordissimo sul realizzare il nostro Paradiso qui in terra...questa attesa della morte mentre vivo (e adoro vivere) non mi piace affatto.

Elena, è vero che "La lotta tra il bene ed il male non si è mai svolta con il BENE passivo che sta a subire"...ma qui ti contraddici rispetto ad altre esternazioni che ti ho sentito fare! Non mi hai insegnato tu la differenza fra pacifismo e non violenza? E non eri tu a dire che la vendetta su qualcuno che abbia fatto del male a tua figlia (Dio non voglia!) non ti porterebbe niente e di sicuro non potrebbe riparare il male fatto?

elena ha detto...

Cara Ska... ho letto la parola "insegnare" e sono sobbalzata sulla sedia. Non pretendevo tanto: pensavo di limitarmi a "passare" le mie esperienze e conoscenze dei fatti, perché poi ognuno le usasse come meglio credeva. Insegnante, come pure Maestro, è un titolo che mi viene difficile applicarmi: non mi sento all'altezza. Ma sì, in fondo insegnare è (dovrebbe essere) proprio questo: dare gli strumenti perché ciascuno li usi. E a pensarci bene, qualsiasi cosa facciamo o diciamo, per gli altri può essere d'insegnamento... anche solo a starci alla larga! :)

Non mi sembra di essere in contraddizione però. Il fatto che il bene non possa starsene inoperoso a guardare il male che avanza non vuol dire indulgere alla vendetta (ma cercare la giustizia sì): continuo a pensare che se mia figlia (ma ovviamente non solo lei) dovesse essere vittima di qualche "malintenzionato" che viene poi catturato, la vendetta non mi porterebbe un millimetro più avanti. Non placherebbe il mio dolore e non mi renderebbe la mia gioia (la pargola). Ma il non volergli strappare la pelle di dosso non significa volerlo lasciare in giro libero di ripetere le sue malefatte su altri innocenti... questo nel personale. Nel generale invece... è lo stesso. Non è che se Pinochet ha preso il potere (in modo "non troppo" democratico, direi) non ci si oppone più fino al suo naturale estinguersi... che non è esattamente la stessa cosa del prendere d'assalto la casa rosada, catturarlo e farlo mangiare vivo dai condor.
E' un po' più chiaro così?
Equo, scusa... ho esondato un'altra volta... Anzi, scusate tutti. :)
Suerte.

ska ha detto...

Allora, Elena, avevo capito male....mi pareva strano, infatti!
Ahaha! Dopo averlo scritto ho pensato che avresti avuto uno schock alla parola "insegnare", e forse hai pure ragione. Diciamo che me l'hai spiegata quella differenza, se tu me l'abbia anche insegnata lo appureremo quando - speriamo mai - avrò l'occasione di avere il mio nemico di fronte a me e di avere in una mano un coltello, nell'altra un telefono per chiamare la polizia.