
Non volevo più scrivere sin dopo l’Otto Marzo, per ristabilire una sequenza cronologica corretta… Mi sfuggono, invece, queste parole che dedico, come sempre, a tutti voi ed in particolare ad un’amica che conosce molte delle sfumature del dolore…
In quegli anni vivevo a Milano.
Mi svegliai una mattina piegato in due da un dolore lancinante che mi mordeva i fianchi, la vita, la schiena, togliendomi letteralmente il fiato.
Al Pronto Soccorso diagnosticarono una colite spastica, mi rifilarono una compressa di “Buscopan” e mi rispedirono a casa.
Rammento che sul taxi che mi portava indietro mi trovai a pensare: “Se mi dicessero che urlare fa cessare il dolore…non c’è problema: io urlo, eh?!”
Il dolore infatti non accennava a diminuire e non mi dava un attimo di tregua, dato che, in realtà, ero in totale blocco renale ed il “Buscopan” , di conseguenza, aveva avuto, più o meno, lo stesso effetto di un sorso d’acqua fresca, considerando che per quel genere di dolori abitualmente s’interviene con la morfina!
Finalmente il vecchio medico di famiglia azzeccò la diagnosi giusta: nuovo viaggio al Pronto Soccorso e, questa volta, interventi più mirati e più efficaci.
Il giovane medico che mi stava pompando in vena analgesici pesanti e soluzioni reidratanti, scandalizzato dall’errore dei suoi colleghi, mi disse per confortarmi:
“Mi stupisco che non sia svenuto per il male, con tutte le ore che l’hanno lasciato in questo stato! Lei saprà che i dolori di un blocco renale sono paragonati a quelli del parto!”
Con la raffinatezza che sempre mi contraddistingue io gli risposi, a muso duro: “Col cazzo!”
Di fronte alla sua espressione stupita e vagamente offesa mi sentii in dovere di precisare:
“Vede, dottore…” – gli dissi – “…sono certo che una donna soffra molto, al momento del parto. Ma, per la miseria, sta mettendo al mondo una nuova vita! Io, al massimo, piscerò un paio di pietre: a me fa molto più male!”
Ora: il dolore non è piacevole mai, ma, purtroppo, fa parte della nostra esistenza.
Sta a noi decidere se sarà un parto da cui far nascere una nuova vita, una nuova prospettiva, una nuova opportunità, o se sarà soltanto un inutile, sterile, improduttivo blocco renale.
Se soffriamo e questa sofferenza porta con sé solo angoscia, rabbia o, peggio, rassegnazione, ci farà molto più male, perché sarà un dolore inutile.
Nietzsche non è tra i miei filosofi preferiti, tuttavia mi sento di concordare con lui quando afferma: “Tutto ciò che non mi distrugge, mi rafforza”.
Ecco: è così che dobbiamo, io credo, vivere il rapporto con il dolore, specialmente con quello psichico: come una dura palestra nella quale trovare nuova forza per camminare nella vita, orgogliosi delle nostre cicatrici.
Abbiamo il diritto di sentirci stanchi, ogni tanto.
E, poi, come dice una bella poesia che, prima o poi, ritroverò e pubblicherò, abbiamo il dovere di alzarci di nuovo in piedi, con l’anima pesta, “…per fare quello che c’è da fare per i bambini…”.
…e se arriva il momento che ci sembra di non riuscire a reggerci da soli… si chiede aiuto.
Perché gli amici servono a questo.